di Giuseppe Fioroni
La storia gli renderà sicuramente onore. Giorgio Napolitano, scomparso ieri all’età di 98 anni, è stato una figura di spicco della politica italiana a partire dal secondo dopoguerra. Nella sua carriera politica, ha ricoperto ruoli di primo piano sia come dirigente del Partito Comunista Italiano che come uomo delle istituzioni.
Aderì al PCI nel 1945, all’età di 19 anni. Nel corso degli anni, ebbe incarichi importanti all’interno partito, tra cui quello di segretario della federazione di Napoli (1973-1975) e componente del Comitato centrale (1964-1991). A partite dagli anni ‘80, si contraddistinse come leader della corrente dei cosiddetti “miglioristi”, coerentemente schierato a favore della modernizzazione del suo partito e del dialogo costruttivo con le altre forze democratiche.
In particolare, dopo la caduta del Muro di Berlino contribuì da par suo a guidare il PCI verso lo scioglimento favorendo perciò la nascita del Partito Democratico della Sinistra (PDS). Senza la tenacia e il rigore che seppe profondere in quella complessa operazione, non è detto che gli eredi di Togliatti e Berlinguer avrebbero conseguito per il loro partito la dignità di forza responsabile di governo.
Al tramonto della Prima repubblica, Napolitano fu chiamato a ruoli di primo piano nelle istituzioni italiane. Eletto nel 1992 alla presidenza della Camera dei deputati, nel 2006 fu scelto presidente della Repubblica Italiana ottenendo poi la riconferma alla scadenza naturale del settennato. Rimase in carica, come è noto, fino al 2015. Durante il suo duplice mandato presidenziale, ha dato prova di costante attenzione ai problemi di stabilità della politica italiana, intervenendo con fermezza nelle varie crisi di governo. Nel giudizio comune è apparso sempre come un politico di grande sensibilità e cultura istituzionale, con le qualità incontrovetibili di uomo austero, nient’affatto incline alla demagogia.
Il mio ricordo personale si ricollega fatalmente alla formazione del secondo governo Prodi, quando entrai al governo come Ministro della Pubblica Istruzione. In quella circostanza, al Quirinale, giurai davanti a lui. All’emozione del momento, comprensibile per una matricola di governo, si aggiunse l’ossequio verso un presidente che godeva di grande considerazione in vasti strati della pubblica opinione. Ora, di fronte al mistero del distacco da questa vita terrena, sento di dover esprimere, oltre ai sentimenti di sincero cordoglio, anche il pieno rispetto per la sua testimonianza di fede politica al servizio del progresso dell’Italia.