Dal domaniditalia.eu riprendiamo e pubblichiamo
di Antonio Payar
La Visione Universale di Dante ha avuto successo non perché fosse di destra, ma perché trascendeva le interminabili dispute sui labili successi del frazionismo italiano. In questo senso non è italiana. Dopo aver attribuito al Poeta il pensiero di destra italiano, si viaggia verso l’individuazione del prototipo di italiano, come fa pensare l’articolo su Libero di ieri, 16 gennaio, a firma della ballerina di “Ballando con le stelle” Hoara Borselli, “Dante patriota – Fu lui il primo italiano vero” (Sgarbi dixit). Per altro, a scanso di equivoci, l’unico O’Hara cui finora attribuivo dignità era il Sergente Biff di “Rin Tin Tin”, ma era la TV dei Ragazzi.
Ebbene, Leonardo da Vinci era italiano? Rimase al servizio di tizio e caio tutta la vita, alla fine si stabilì in Francia, la sua tomba (1519) e la Gioconda sono lì. Per capire qualcosa di più (Cesare Ottaviano, o Traiano, o Marco Aurelio, erano italiani?) è utile non solo tenere sul comodino Gli italiani (1964) di Luigi Barzini – un prontuario sul vizio della messinscena – ma soprattutto qualcosa sul tempo in cui l’Italia era la padrona dello sviluppo e del progresso nel mondo: basta leggere Quando l’Italia era una superpotenza. Il ferro di Roma e l’oro dei mercanti, Einaudi, 2004, un’insuperabile affresco di Giorgio Ruffolo che chiarisce molte cose. O anche L’Italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione, di Giulio Bollati, 1983.
Il tempo longobardo, secondo Ruffolo, determina la “fatale spaccatura fra il Nord e il Sud del Paese, eredità oggettiva di quell’invasione”. Poi si fa strada una seconda eredità: della frammentazione, del privatismo politico, dell’indifferenza e diffidenza verso lo Stato; un sentimento che diventerà una radice avvelenata del carattere nazionale…”. E la stagione dei liberi Comuni? In ogni conflitto si doveva usare fino in fondo la forza, addirittura sino al terrore. L’obiettivo di ogni lotta era la rovina completa di uno dei contendenti: “La vita civile delle Città italiane diventava così un terribile gioco a somma zero”. Con l’incapacità di trasformare la politica in un gioco a somma positiva, dove, grazie all’accettazione del compromesso, “tutti, accettando una perdita immediata, realizzano nel tempo un superiore guadagno…”. Che sia da allora che il termine compromesso porta con sé un senso non di matura accettazione della realtà, ma di svilimento dell’immagine?
Insomma ci dimentichiamo, come dice Ruffolo, dell’essenza del miracolo italiano: “L’aver creato una ricchezza che non si trasformò in potenza ma si trasfigurò in bellezza”. Tanto che, come dice Fernand Braudel, “quando sull’Italia cadde la notte, tutta l’Europa ne fu illuminata”. Ecco i due più gloriosi e cruciali momenti della storia italiana analizzati attraverso coordinate concettuali dei nostri giorni. Dell’antica Roma l’autore analizza le ragioni del rapido sviluppo, il modello economico imperiale e il sistema agrario-mercantile a base schiavistica, le spese opulente degli imperatori, i dati della svalutazione durante la decadenza fino a giungere al momento della “rivelazione” cristiana. Dalla Roma in decadenza, l’analisi converge verso le capacità tecniche e politiche di Venezia, Genova e Pisa, la conquista dei mercati orientali che definiscono l’economia-mondo rinascimentale con al centro la penisola e le sue Città Stato. Tale primato industriale e mercantile è osservato fino al momento del nuovo lungo tramonto.
L’Italia diventa ‘universale’ oltre le sue vicende quando dopo il Quattrocento gli italiani sono protagonisti delle rotte oceaniche e del Nuovo Mondo (che è battezzata con un nome italiano: terre di Amerigo) per l’unicità delle loro personalità eclettiche. Senza Invincibili Armate alle spalle. E poi c’è l‘Italia dei riscatti, l’Italia del Risorgimento, l’Italia della Ricostruzione, l’Italia dei suoi agganci – vedi l’invenzione del PC con cui gli Americani andranno sulla Luna – con la modernità perduta nelle dispute delle Città Stato. Un miracolo permanente, con luci e ombre, dove l’universalismo del Sommo Poeta spinge a guardare sempre oltre la linea dell’orizzonte, per non dissipare un’identità caleidoscopica e perciò stesso aliena dalla sterile contemplazione di sé medesima. Lontana soprattutto dalla retorica che graffia l’immagine migliore del Paese.