Viterbo ha trovato il suo maximum leader. Si chiama Giacomo Barelli, che dalle colonne della Pravda viterbese si candida a federare e guidare Battistoni, i renziani, i totiani, i calendiani (senza che lo sappia Calenda, però) e i pentastellati. “A livello territoriale – dice – è necessario cominciare a riflettere e lavorare sulla possibilità di un fronte comune politico ed elettorale da contrapporre ai populisti e sovranisti alle prossime elezioni comunali”.
E chi può farlo meglio di lui, che, alla continua ricerca di soluzioni per i suoi problemi personali e per quelli di Caffeina, da quanto è comparso sulla scena viterbese ha girovagato in tutto l’arco costituzionale? Lui che è stato assessore con Michelini e poi gli si è messo contro, nemico di Serra a cui ha infine lisciato il pelo e provocatore di Arena al quale però non ha votato la sfiducia?
Coerente nell’incoerenza – ci vogliono doti non comuni per essere così – sarà Giacomo Barelli il condottiero al servizio del Cesare di Canepina, il capo delle truppe di rincalzo a supporto dell’Armata Rossa asserragliata sui Monti Cimini e pronta per la conquista della città. Sarà lui ad immolarsi per tutti mettendo per altri cinque anni le sue ingombranti chiappe su uno scomodo scranno della Sala d’Ercole.
Tutto ciò avverrà all’insaputa di Calenda – ma non fa niente, si spera che non se ne accorga – e nel trionfo di un trasformismo che salverà la città e il suo personale destino altrimenti appannato dopo aver dato il meglio di sé con Più Europa, Pd, Scelta civica, Fini e finanche Smeriglio, lasciandosi ogni volta macerie alle spalle, comprese quelle di Caffeina.
E’ tempo di voltare pagina e di cambiare vita, sogna Barelli. Solo così i destini saranno rosei per tutti o alla peggio almeno per lui.