Il nostro tema, fissato nel titolo del convegno, è stato in questi due giorni “Siamo noi la Storia”.
Nelle mie brevi considerazioni, al termine dei lavori, desidero concentrarmi sul punto che illumina il discorso avviato, ad Assisi e a Viterbo.
Come si sta dentro la Storia? E noi, con quali valori intendiamo starci? Quale leit motiv identifichiamo per rivendicare il titolo di protagonisti, naturalmente insieme ad altri, della Storia?
L’interrogativo ci costringe a misurarci con il tempo della nostra azione, con “questo” tempo della politica. Il Paese sta vivendo il travaglio di una nuova rinascita, ma ha bisogno di un autentico disegno di mobilitazione.
Stare nella Storia significa anzitutto non fomentare la nostra, di storia; non dimenticare chi siamo e dunque non temere di esserne orgogliosi; di essere, cioè, fedeli a una posizione ideale e politica, con tutta la vitalità di un movimento sempre in evoluzione e crescita, malgrado le strettoie delle contingenze.
Qual è il messaggio per il quale far sentire la nostra voce? Ecco, in un tempo di ripresa, ricco di speranza e di suggestioni, come pure di ansie giustificate, noi abbiamo il dovere di ricostruire una politica che fondi il suo “perché” nella consapevolezza di ciò che attiene al senso della responsabilità.
Abbiamo il dovere di parlare del…senso del dovere. Ne ha necessità questa Italia volenterosa e tuttavia ancora incerta, comunque in attesa di una nuova prospettiva.
Mi limito allora a fare quattro citazioni, da leggere e comprendere nella loro concatenazione.
La prima figura don Giovanni Minzoni, di cui abbiamo ricordato il martirio (23 agosto 1924) per mano del fascismo. Un film che gli è stato dedicato contempla la scena in cui l’attore, dando voce alla premura del sacerdote patriota, medaglia d’argento al valore militare nella Grande Guerra per il coraggio mostrato come cappellano dell’esercito italiano, prorompe in una lapidaria e bellissima affermazione: “Ho fatto solo ciò che era giusto”.
Grande sacerdote in un’epoca di sacerdoti impegnati nella grande avventura della nascente democrazia cristiana di Murri e poi nel Partito popolare di Sturzo.
È proprio Sturzo ci offre la possibilità di approfondire il nostro tema. “Ho sentito la vita politica come un dovere e il dovere dice speranza”. Una frase stupenda, perché con essa Sturzo ci ha voluto dire che il senso del dovere è ragione di speranza. Ne dobbiamo tenere conto oggi.
De Gasperi, come sappiamo, patì il carcere. Mussolini voleva impedirgli di fare politica perché lo considerava un nemico, come d’altronde tutti i veri popolari. Dunque, ricoverato in clinica durante il periodo di detenzione, egli scrisse una lettera alla moglie che andrebbe costantemente riletta.
Pensava, De Gasperi, di non avere più un futuro politico. Correva l’anno 1927. Alla moglie confessava pertanto di sentirsi un uomo debole, senza più collegamenti, provato nel fisico e nel morale. Per questo tentava di riepilogare il percorso che lo aveva visto impegnato in politica. E scrive: “Ci sono molti che nella politica fanno solo una piccola escursione, come dilettanti… Ma per me, fin da ragazzo, era la mia carriera o meglio la mia missione”.
È un richiamo di elevata potenza: la politica, ci dice De Gasperi, deve essere “una missione”. Non può essere un mero esercizio di potere o un incrocio casuale di opportunità, convenienze o interessi. Lo sguardo va rivolto in alto.
In alto fu Moro a puntare il dito, con lo stesso spirito e con la stessa forza. Resta memorabile una sua frase, errroneamente desunta (per il web) dal suo ultimo discorso ai gruppi parlamentari (28 febbraio 1978), quando invece fu pronunciata nel corso dell’intervento al XIII Congresso della Dc, il 23 giugno 1976.
Cosa diceva Moro? Ce lo ricordiamo tutti: “Questo Paese – era un’Italia, in quel momento, in gravi difficoltà – non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”.
Bene. Minzoni, Sturzo, De Gasperi, Moro… Questi giganti della nostra preziosa è vitale tradizione orientano con la loro fedeltà ai principi il lavoro che pensiamo di affrontare, come democratici e come popolari, per ridare forza, slancio e credibilità a una politica amante dei diritti e consapevole dei doveri.
È un equilibrio che soverchia le astrattezze dell’ “uomo a una dimensione” e autorizza a ristabilire la virtù di un autentico realismo, in nome del progresso e della crescita civile.
Questa è la nostra idea di politica, forse corroborata, per quel che ho visto e capito, dall’intenso confronto di questi due giorni. Ringrazio per la partecipazione e auguro a tutti noi di far tesoro di quanto prodotto nelle nostre conversazioni, sincere e stimolanti.
di Giuseppe Fioroni