Poche nascite, molti addii. Sono sempre più numerosi infatti i residenti che abbandonano il territorio laziale per emigrare verso l’estero o il Nord Italia. Sono italiani per la maggior parte ma anche stranieri, i cui ingressi scendono da 51.300 unità nel 2009 ad appena 28.600 unità nel 2018 (-44,2%). E’ quanto emerge da uno studio della Uil del Lazio e dell’istituto di ricerche Eures sulla vulnerabilità demografica della nostra regione. Vulnerabilità caratterizzata da un crollo delle nascite (-23%) superiore persino al periodo della seconda guerra mondiale (-21%) e da una fuga verso l’estero che in nove anni ha subito un incremento del 174%.
A lasciare il Lazio sono soprattutto i cittadini italiani (10.103 nel 2018 pari al 77,4% del totale contro il 2.942 stranieri, pari al 22,6%), mentre i flussi in ingresso risultano quasi interamente composti da cittadini stranieri. Tra chi sceglie di trasferirsi all’estero, soltanto il 12% torna indietro, evidenziando così come la scelta migratoria tenda a divenire sempre più una perdita definitiva del capitale sociale del nostro territorio. Per trovare analoghi flussi in uscita dal Lazio verso l’estero occorre tornare indietro di mezzo secolo, ovvero ai primi anni Sessanta, quando il numero degli espatri raggiunse le 15.200 unità (1961). Espatri che equivalgono a una forte perdita di figure qualificate per il nostro territorio: secondo i dati Istat infatti il 25% degli italiani che emigra all’estero ha una laurea o un titolo di studio post-laurea (+47% sul 2014); valore tra l’altro molto superiore alla media dei laureati in Italia (18,7% dei residenti), che già colloca il nostro Paese in coda ai Paesi Ocse (dove la media è del 33%).
“Sicuramente un duro colpo non solo per l’economia, ma anche per la composizione sociale e culturale della nostra regione – commenta il segretario generale della Uil del Lazio, Alberto Civica – se i giovani, soprattutto i più istruiti, vanno via significa un mancato ricambio generazionale ma anche carenze strutturali profonde del nostro sistema, che non è in grado di trattenerli. La maggior parte di essi cerca all’estero quel lavoro che il nostro Paese e la nostra regione in particolare non sono stati in grado di offrire. I vari programmi »Torno subito« e similari attuati e sponsorizzati della Regione Lazio non hanno prodotto i risultati sperati. Anzi, per la verità, nemmeno i dati. Ma questi numeri parlano chiaro purtroppo e sono numeri da cui difficilmente si potrà riemergere, considerando soprattutto il momento storico nel quale i troviamo”.
Sono 127 mila, negli ultimi cinque anni, i giovani under 39 che hanno abbandonato il Lazio (da 1.537.363 unità nel 2014 a 1.409.754 nel 2019). Fughe non compensate dai flussi migratori in entrata che arrivano appena a bilanciare le perdite registrate dalle dinamiche naturali (nascite e decessi): a fine 2018 le anagrafi regionali registrano infatti un saldo positivo di circa 20 mila unità, a fronte di un valore che superava le 53 mila nel 2009, evidenziando una generale perdita di attrattività della nostra regione sia per gli italiani sia per gli stranieri. A ciò si aggiungono i trasferimenti interregionali. Se i cittadini del sud vedono ancora il Lazio come un punto di approdo, per i laziali diventa spesso un luogo di partenza. Sono stati infatti circa 300 mila i corregionali che negli ultimi anni hanno abbandonato il nostro territorio per trasferirsi nelle regioni del nord. Lombardia in testa. Qui infatti risiedono oltre 42 mila laziali.
Ma anche gli stranieri hanno cominciato a considerare sempre più il Lazio un territorio di passaggio. Verso il nord Italia o verso l’estero. Nel 2018 infatti sono state censite 5,5 mila iscrizioni e quasi 6,8 mila cancellazioni.
“Sono Lombardia, Veneto, Emilia, la confinante Toscana le regioni più attrattive per molti romani e laziali – spiega Civica – regioni dove l’accesso al mondo del lavoro è meno tortuoso del Lazio e dove anche la qualità di vita è superiore. E per qualità di vita, oltre al lavoro, si intende la sanità, i trasporti e i collegamenti anche interni, la gestione delle emergenze o dei rifiuti. Non ci pare che nella nostra regione si sia fatto molto in questo senso. Sanità non è solo emergenza covid, ma liste d’attesa, collegamenti in rete tra le varie strutture pubbliche, gestione dei pazienti. Per non parlare della gestione dei rifiuti o dei mezzi pubblici. Purtroppo non ci stupisce che i giovani vadano via”.
Nell’ultimo decennio le iscrizioni all’anagrafe dei giovani 18-39 sono diminuite di oltre 15 mila unità (da 51.358 nel 2009 a 36.088 nel 2018), e le cancellazioni di residenza sono oltre 5 mila (da 15.263 a 20.391). Il saldo rimane al momento comunque positivo (oltre 445 mila iscrizioni a fronte di 181 mila giovani che hanno lasciato la nostra regione) grazie soprattutto alla componente straniera (+237.000). A fine 2018 le anagrafi regionali registrano infatti un saldo positivo di circa 20 mila unità, a fronte di un valore che superava le 53 mila nel 2009, evidenziando una generale perdita di attrattività della nostra regione sia per gli italiani sia per gli stranieri.