La pandemia non ha risparmiato la cultura. Tanti eventi, iniziative, festival di diversa importanza hanno annunciato il rinvio ad altre date: forse in autunno, sicuramente il prossimo anno.
Una delle attrazioni mondiali che non si è potuta svolgere è stato il Festiva di Cannes, tanto caro alle sorti non solo cinematografiche della regista, Alice Rohrwacher. Il New York Times, alcuni giorni addietro, ha dedicato un lungo speciale in cui ha raccolto le testimonianze di attori e registi mondiali sul loro rapporto con la kermesse francese.
Ricordi, aneddoti, pensieri e speranze riportano indietro e avanti nel tempo la storia e il presente di Cannes. Poi c’è il racconto di Alice Rohrwacher, dei suoi film (Le Meraviglie e Lazzaro Felice), della sua famiglia, dell’effetto “Carlo Tarmati” in un’esperienza unica che le ha cambiato la vita.
“Cannes mi ha cambiato la vita – scrive Alice iniziando il suo racconto sulle colonne del NYT -. Mi ha mostrato film che hanno ampliato la mia libertà intellettuale e mi hanno accolto come regista. Mentre scrivo questi pensieri, sento la voce del mio vicino Carlo fuori dalla finestra – e anche lui è collegato a Cannes”.
“Non parlavo mai con Carlo Tarmati, che lavorava come camionista, perché era il grande nemico di mio padre – ricorda la regista -. La nostra casa e quella di Carlo sono arroccate su colline adiacenti. Quando mio padre e Carlo urlavano tra loro maledizioni e accuse, le loro grida echeggiavano nei boschi”.
“Durante il casting di “Le Meraviglie” – prosegue Alice Rohrwacher -, Carlo si presentò per un’audizione. Ero imbarazzata, perché era un nemico. Ma era un attore nato. Lavorando insieme, ci siamo conosciuti meglio. E poi il nostro film è stato scelto per Cannes e sono andata nel panico. Volevo portare Carlo, ma volevo anche portare la mia famiglia. E se avessero iniziato a combattere nel bel mezzo del festival? Ricordo il tappeto rosso [2014] di “Le Meraviglie”, con mia sorella Alba che mi teneva per mano, i quattro bambini piccoli del film, i miei genitori e mia figlia, la splendida Monica Bellucci e, incredibilmente, Carlo. Ho tenuto d’occhio mio padre. E poi durante la proiezione, Carlo e mio padre si sono riconosciuti nella storia. Hanno riso e pianto insieme. Avevano paura insieme. Adoravano il lavoro che avevamo fatto tutti insieme. Alla festa dopo la proiezione si sono presi in giro a vicenda. In pochi giorni erano i migliori amici, inseparabili”.
“Le grida rabbiose non riecheggiano più nei boschi – conclude Alice -. Sono stati sostituiti da saluti amichevoli. In questo periodo di quarantena, isolato nelle campagne, Carlo Tarmati è l’unica persona che vedono i miei genitori. Insieme svolgono i lavori agricoli che non possono essere gestiti da soli. Si tengono compagnia e si chiamano ogni sera prima di andare a letto”.
Una storia straordinariamente semplice, reale. Sull’Alfina la conoscono tutti e leggerla sulle colonne del NYT è forse allo stesso modo sorprendente come il giorno di quell’abbraccio sul tappeto rosso di Cannes. La rivincita della semplicità e del buon senso, la bellezza di essere testimoni che l’uomo sa riprendersi la sua genuinità e che forse, oggi più che mai, c’è bisogno anche di difenderla.