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di Francesco De Paolo
L’ex ministro dell’Istruzione: “Le nuove risorse per la scuola sono un tema fondamentale ma non sono tutto: se si riuscisse a far funzionare bene i fondi già presenti e mandare rapidamente a soluzione i dossier aperti, allora la storia andrebbe diversamente. Chi si dimette e getta la spugna fa certamente un cattivo servizio alla coalizione, ma è il primo a fare brutta figura”
A questo (neonato) governo manca una vitamina per crescere. La diagnosi è dell’ex ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, esponente cattolico dei dem che partendo dal caso Fioramonti (“Chi getta la spugna è il primo a fare brutta figura”) tocca tutti i punti cardinali della maggioranza, per giungere al nuovo perimetro che dovrà tracciare il premier Conte se vorrà evitare un’altra crisi.
La defezione di Fioramonti, definita “indecorosa” dal Nazareno, cementerà o fiaccherà la maggioranza?
Il ministro Fioramonti ha scelto una procedura particolare: ha annunciato le dimissioni, poi ha provato il silenzio e infine ha confermato la sua decisione. Si tratta di un comportamento che non aiuta la stabilità della maggioranza. Ma su quei fondi che non ha ottenuto dovrebbe ricordare che la manovra è stata presentata dal governo e dal ministro Gualtieri, che reputo persona attenta ai temi della scuola e della ricerca: per cui la questione in primo luogo attiene la sconfitta personale per Fioramonti.
Per quale ragione?
Le nuove risorse per la scuola sono un tema fondamentale ma non sono tutto: se si riuscisse a far funzionare bene i fondi già presenti e mandare rapidamente a soluzione i dossier aperti, allora la storia andrebbe diversamente. Chi si dimette e getta la spugna fa certamente un cattivo servizio alla coalizione, ma è il primo a fare brutta figura. Tutti i ministri della scuola hanno avuto scontri al tempo delle finanziarie, ma lasciare lo considero un errore.
Quali gli impatti sul governo?
Questo ulteriore disequilibrio dovrebbe spingere la maggioranza a stringere i bulloni e affrontare un programma chiaro con pochi punti (ma certi) per procedere ad una navigazione in campo aperto. Aumentare la coesione di un progetto chiaro lo considero un passaggio indispensabile. Il problema vero non è tanto la durata del governo, quanto la qualità del governare nell’interesse degli italiani.
La richiesta Pd di un rimpasto ha lo scopo di puntellare l’esecutivo o di accelerare lo sfarinamento, anche ideale, oltre che fisico, di chi dopo le firme sul referendum vede le urne come exit strategy?
Come sempre accade, il problema vero riguarda l’impianto costituzionale italiano, dove i ministri sono nominati dal Capo dello Stato. Dimissioni certe e crisi non rappresenterebbero certo il Betotal per il governo nato da pochi mesi a cui invece servirebbe una nuova vitamina tonificante e ricostituente. Vero è che questo governo, messo alla prova dei fatti, avrebbe necessità di due cose: fare un check-up per individuare i punti di debolezza che potrebbero essere causa di malattia e approntare nuove cure ad hoc, circoscritte e condivise sia da chi si dimette sia da chi entra.
Il congresso straordinario annunciato da Zingaretti dopo le regionali di gennaio potrà accelerare la nascita di un gruppo pro Conte?
I congressi o sono veri e quindi mettono in palio leadership e linea politica alternativa, come detto dallo stesso Segretario, oppure non sono in grado di rappresentare un punto di svolta. Vivo ossessionato dalle fughe giornaliere dal Pd nella parte moderata e riformista: un congresso fatto con i tempi giusti e con un confronto politico reale può aiutare a fare chiarezza in questo senso. Aggiungo che i gruppi dei responsabili visti in Parlamento fino ad oggi hanno sempre certificato la gravità di una malattia. Altra cosa se Conte decidesse di fare una scelta politica ponendosi a capo di un qualcosa, che fosse distinto e distante dal M5S: e se si facesse un partito non sarebbe certo una cosa a sua insaputa.
Sembra che il premier abbia paradossalmente più preoccupazioni guardando al M5S che lo ha espresso che al Pd: è così?
Conte, indicato dal M5S, rappresenta un elemento di garanzia per l’intera coalizione. Ma è innegabile che il M55 viva un momento di grande instabilità interna ed esterna. Del compianto Gianroberto Casaleggio ho sempre apprezzato una capacità: quella di aver fatto nascere il M5S come una comunità di arrabbiati, a pieno titolo, che esprimevano un’azione politica per saldare i conti con il passato. Per cui viaggiando con la testa all’indietro trovava tutti d’accordo. Ma nel momento in cui la venuta meno del fondatore ha aperto la strada delle alleanze, i grillini hanno dovuto preventivamente girare la testa per guardare in avanti e condividere una prospettiva con altri. La rabbia unisce se si guarda al passato, la prospettiva implica progetto e condivisione. Questa la prova di maturità a cui i Cinque stelle sono chiamati. Si può maturare certo, ma l’albero con tutti sopra può anche degenerare. È anche vero che il medico pietoso, Conte, potrebbe fare la piaga verminosa.