La vicenda dei migranti sfruttati nei boschi dell’Alta Tuscia ripropone un problema – quello del caporalato – che di tanto in tanto in provincia di Viterbo si ripresenta in tutta la sua gravità. Al di là degli aspetti giudiziari del fenomeno, la circostanza la dice lunga sui meccanismi economici che regolano talune zone d’ombra della Tuscia, assimilabile per certi versi al Sud più profondo.
E’ gravissimo sfruttare il lavoro altrui. Ancora più grave se avviene a fronte di paghe ridicole. Stavolta parliamo di migranti e magari sarebbe il colmo se si scoprisse che chi si serve di loro appartiene alla folta schiera di quelli che li vorrebbero veder annegare in mare. Non c’è davvero più religione. E’ lo Stato però, e non solo quella parte di esso rappresentata dalla magistratura, a dover dare delle risposte. Da esse dipende, oltretutto, anche la tenuta del sistema politico, se è vero che i populisti, sebbene dal canto loro non farebbero nulla di diverso, fanno breccia proprio sulla mancanza di lavoro, sullo sfruttamento, vero o presunto che sia, operato dalle grandi multinazionali, con la complicità delle banche (vedere Meloni), per acquisire consenso a buon mercato.
A ben vedere però nessuno, neanche i populisti a cui in molti affidano le sorti del Paese, si addentra seriamente in queste dinamiche. Tutto ciò è inquietante. E’ inquietante che in un Paese civile con alle spalle una lunga tradizione sindacale accadano fatti di questo tipo. Ed è inquietante che, passato il clamore iniziale suscitato dall’intervento delle forze dell’ordine, tutto prosegua come prima.
Si è inceppato, non c’è dubbio, il sistema dialettico tra i “padroni” e i lavoratori. La sinistra sinistra su ciò dovrebbe interrogarsi attentamente invece di maledire la sorte per i voti che si vede sfilare dai 5 Stelli. Ma allo stesso modo dovrebbe aprire una seria riflessione su questi fenomeni anche quella destra destra che, come dimostra il Nord Est, ha soppiantato la sinistra. E invece no. Le campagne elettorali si basano sull’opportunità o meno di far entrare i migranti, sulla delinquenza, la microcriminalità e via dicendo, sulle banche ladre e le imprese sfiancate dal fisco, ma mai si punta davvero sull’esigenza di lavoro e dignità.
Lo Stato potrebbe molto, ma non lo fa. Lascia all’iniziativa privata la facoltà di muoversi senza alcun rispetto per l’uomo, ovvero di perseguire solo il profitto. Poi si giustifica tutto ciò con la globalizzazione, la concorrenza dei cinesi, il lavoro a basso costo in altri Paesi. Stupidaggini. Lo Stato dovrebbe cominciare ad esempio a controllare gli imprenditori che ottengono commesse pubbliche, dovrebbe obbligarli, a fronte dei soldi che ottengono, a tenere i lavoratori in regola sia per quanto riguarda la busta paga sia per quanto riguarda gli orari. E invece gli imprenditori prendono, i dipendenti lavorano, ma nelle loro tasche vanno le briciole. Di esempi anche a Viterbo ce ne sono a decine. Poi i lavoratori che prendono quattro lire non comprano e allora ci si lamenta se le imprese vanno in crisi.
Questo non è un discorso né di destra, né di sinistra, e d’altra parte la destra e la sinistra ormai non si distanziano più di tanto da certi modelli consumistici che anziché mettere al centro la dignità del lavoratore ci mettono quella del Dio denaro. Questo è un discorso di buon senso, di civiltà e siamo sicuri che è qui che si giocherà la partita più importante per questo Paese. Equità, insomma, come dice il papa. Ridistribuzione della ricchezza, opportunità per tutti come base di partenza. Poi il merito, certo, la competenza e la capacità. Ma una base minima va garantita a tutti.