L’Amleto riscritto a otto mani, una performance lgbt (a 50 anni dai Moti di Stonewall) e l’anteprima “virtuale” di Freetime: dal 27 al 29 settembre a Viterbo per Quartieri dell’Arte, tra contemporaneità e Rinascimento.
Come si fa a “uccidere un padre che è già morto”, che di vendicarlo proprio non si ha voglia? Bisogna davvero “ereditarne il nome” e seguirne i passi sulla terra, o risolversi a lasciarlo riposare in quella terra e seguire i propri passi rischiando pure di sparire? Da queste e da altre domande ancora, l’interprete di Amleto parte per indagare i propri confini. E così, in questo non-luogo, misterioso e di passaggio, sono destinati a sprofondare alcuni personaggi dell’Amleto, ognuno portatore di un tema e di una rinnovata visione sulla vita e sulla morte, ognuno interpretato dallo stesso attore, Solo. Il progetto parte dal testo shakespeariano per attraversare i dubbi che fondano il nostro tempo: dal rapporto tra padri e figli alla relazione tra leader e società, dalle dinamiche di potere, sia nella dimensione pubblica che in quella privata, alla ricerca di una giustizia che si specchia nella vendetta. Il mito di Amleto incarna perfettamente il travaglio della crisi di conoscenza contemporanea. Siamo noi a essere Amleto: sopraffatti dal Pensiero, impossibilitati all’Azione. La drammaturgia, la recitazione e la regia collaborano a esplorare zone di confine, tra attore e personaggio, tra palco e platea, realtà e finzione, prendendosi il rischio di provare a conquistare l’essere, lo stare. Una ricerca tra la prontezza e l’azione. Una riflessione sull’Identità. La Solitudine. L’Arte. Io sono. Solo. Amleto.