Si è tenuta a Capodimonte l’assemblea pubblica sul “futuro del lago di Bolsena e del suo territorio“. Al centro del dibattito la coltivazione intensive delle nocciole e la geotermia. La sala conferenze della Cascina era gremita.
“Un lago fragile – ha detto il presidente dell’Associazione lago di Bolsena, Piero Bruni, nell’introdurre i lavori -. Un lago che non può sostenere ulteriori prelievi idrici e ulteriori apporti di inquinanti. Il processo di eutrofizzazione è in pericoloso avanzamento e deve essere fermato”. Sotto accusa l’impianto geotermico di Castel Giorgio, “che a parere degli esperti potrebbe inquinare la falda acquifera del lago con arsenico e altre sostanze cancerogene e provocare sismi indotti”. Ma non solo. Preoccupazione “anche per le nuove colture intensive di noccioleti, che rappresentano un serio problema, visto che richiedono molta acqua, purtroppo non disponibile, e perché sono destinate inesorabilmente a passare da biologiche a convenzionali”.
E’ stato spiegato che ad incentivare le piantagioni di noccioli sono gli specifici fondi regionali stanziati per il settore, che è vero che vengono erogati a patto di coltivare biologicamente, “solo che questo vincolo sussiste soltanto per i primi 5 anni, il che vuol dire che non appena le piante diventano produttive nessuno farà a meno di trattarle con fitofarmaci e pesticidi. Le grandi multinazionali, infatti, non acquisterebbero nocciole non trattate”. “L’uso della chimica in agricoltura – è stato ribadito – non solo accelera l’eutrofizzazione del lago, ma ha impatti pericolosi sulla salute pubblica: aumento di malattie quali il Parkinson e l’Alzheimer, tumori (specie melanomi e leucemie), patologie della tiroide, danni neurologici (ad esempio deficit cognitivi e autismo nei bambini)”.
Il professor Nascetti, docente Unitus, ha confermato i danni ambientali dell’agricoltura intensiva: “Basta guardare ciò che è accaduto al lago di Vico per capire che la strada da percorrere è un’altra. Decenni di studi condotti dall’Università hanno messo in evidenza che la nocciolicoltura incontrollata ha aggravato l’eutrofizzazione del bacino al punto che le microcistine tossiche prodotte dall’alga rossa hanno contaminato l’acqua potabile e irrigua e la fauna ittica, entrando nella catena alimentare umana. Ma mentre il lago di Vico ha un tempo di ricambio pari a 17-30 anni, e quindi faticosamente si potrebbe invertire la tendenza con drastiche misure di ripristino, l’ecosistema del lago di Bolsena, con i suoi 300 anni di ricambio, verrebbe irrimediabilmente distrutto”.
Significativo è stato anche l’intervento di Bengasi Battisti: “E’ un dovere morale lasciare ai giovani i beni comuni che abbiamo ereditato. Nessun interesse economico dovrebbe mai mettere in discussione ciò”.
Presente all’incontro anche l’archeologo Andrea Babbi, direttore del Progetto internazionale di ricerca Bisenzio: “Bisogna instaurare – ha detto – un dialogo con i coltivatori, sensibilizzandoli a fare scelte ecosostenibili. Le rilevazioni effettuate con indagini geofisiche e con ricognizioni di superficie mostrano in quei campi evidenze di notevole importanza scientifica. Poter continuare a studiare e valorizzare quei depositi archeologici, evitando che vengano ulteriormente danneggiati, anche da trattamenti chimici sui terreni, significa poter consegnare alle future generazioni l’antica Bisenzio di cui anch’essi sono eredi”.
Quale futuro, allora, per il lago di Bolsena? Secondo i relatori la trasformazione del bacino in un grande biodistretto rappresenta l’unica via percorribile: “Contro lo sfruttamento industriale è bene invece valorizzare i prodotti d’eccellenza e gli straordinari beni storico-artistici di cui disponiamo”.