“Facchini che attaccano facchini, giornalisti che insultano giornalisti, villaggi natalizi per bambini che litigano fra di loro. Io penso che se dovemo da tutti una bella calmata #perilbenedeiviterbesi”.
Parole e pensieri, su Facebook, di Gianmaria Santucci, scosso dagli attacchi che gli vengono mossi da un po’ di giorni dal giornalista più bravo di tutti i giornalisti del mondo. Chissà… forse non se l’aspettava.
Non ha torto, Santucci, a dire che a Viterbo si dovrebbero dare tutti una bella calmata. Il fatto è che le sue – come quelle di Filippo Rossi, costretto a lasciare baracca e burattini e a trasferirsi a Sutri – sembrano un po’ lacrime di coccodrillo. Tardive. Arrivate fuori tempo massimo. I buoi sono scappati dalla stalla, questa è la situazione, e se a voler farceli rientrare è chi li ha fatti fuggire… insomma, non è il massimo e c’è poco da stare tranquilli.
Il clima di contrapposizione a Viterbo è sempre esistito (ve li ricordate i guelfi e i ghibellini?), ma negli ultimi tempi ha raggiunto livelli effettivamente insopportabili. Ma chi, politicamente, ha contribuito in maniera determinante a tutto ciò? Sicuramente Santucci, come Rossi, ci ha messo del suo. Inevitabile che nel tritacarne prima o poi ci finisse anche lui.
Al di là delle contestazioni mosse dal giornalista più bravo di tutti i giornalisti del mondo, che quando parla… tranquilli, ha sempre un motivo che non dice; e al di là della sostanza di queste contestazioni, sulle quali spetterà al sindaco prima o poi dire qualcosa, colpiscono i toni usati. Che sono gli stessi però con cui Santucci, in maniera più felpata, e Rossi, in modo più diretto, hanno inaugurato per fare politica negli ultimi dieci anni, servendosi proprio di quella comunicazione (siti Internet e social) di cui oggi in un verso o nell’altro sono vittime e carnefici (non è un caso se tutti e due hanno il pallino del giornalismo). La politica, bisognerebbe saperlo, è una cosa seria. La gente guarda e si comporta di conseguenza.
Il virus si è insomma propagato dal palazzo alla piazza grazie a loro, che hanno vestito con tanta disinvoltura i pani degli untori, e oggi i risultati sono quelli che vediamo. Forse anche a Santucci, come capitato a Rossi, a questo punto converrebbe cambiare città. Chissà. Se fossimo in lui ci penseremmo.