Da huffingtonpost.it riprendiamo e pubblichiamo un intervento di Giuseppe Fioroni
di Giuseppe Fioroni
L’ultima intervista di Goffredo Bettini, riportata ieri dal Corriere della Sera, sposta i termini del dibattito sul futuro del Pd. Non è un semplice commento attorno alla soluzione della crisi. Va ben al di là, per questo esige uno sforzo di chiarezza. Tutti ce ne dobbiamo far carico con spirito costruttivo, ma senza infingimenti. Vale per chi è d’accordo e soprattutto per chi non lo è, dal momento che viene tratteggiata una linea di radicale trasformazione del partito.
Nelle parole di Bettini, infatti, si coglie la volontà di rigenerare la sinistra attraverso la nuova formula di governo, puntando a rimescolare gli elettorati del Pd e del M5S. Pare sia destinato a chiudersi per sempre il capitolo del partito unico dei riformisti – cos’altro era il soggetto che superava l’esperienza dell’Ulivo?. Che ciò avvenga per realismo o rassegnazione, non è dato di sapere; che trovi poi rispondenza ai “piani alti” del Nazareno, è difficile negarlo; che produca infine uno stacco dal passato, anche recente, è fuor di discussione.
Il processo avviato nell’ormai lontano 2007, quando le primarie legittimarono Walter Veltroni alla guida dell’ardito e ambizioso disegno di raccordo e unificazione dei filoni riformisti del Paese, cede il passo a una prospettiva di unificazione che dovrebbe scaturire dalla fusione di due forme di rappresentanza del bisogno di cambiamento. Da qui il passaggio ad una fase politica del tutto nuova. Popolo ed elite tornerebbero a incontrarsi – se le parole hanno un senso – nel crogiolo di contigue e non più opposte visioni del progresso civile ed economico della nazione.
Incidentalmente, qualora ci fossero resistenze da parte di Matteo Renzi, potrebbe anche materializzarsi l’ipotesi di separazione consensuale, senza addivenire a una polemica irrazionale e travolgente. Bettini dice che non dovremmo assegnare a tale eventualità il carattere di una sciagura. Ma come si fa a controllare una rottura così grave, immaginando di muovere le pedine sulla scacchiera come se il gioco potesse rimanere inalterato, sotto il freddo calcolo degli interessi e delle convenienze? Si rischia di scivolare nella melma dell’avventatezza. Dietro l’apparente calma di una procedura di riordino del sistema politico, mediante l’abbraccio di grillismo e riformismo, si fa largo la prospettiva di un big bang del centro sinistra.
Quanti hanno creduto nello sforzo di aggiornamento delle culture riformatrici – eravamo insieme, con Bettini, a mettere i primi mattoni del nuovo edificio di partito – domani avrebbero il compito di rimuovere, con dolore, le macerie di quella che potremmo comunque definire una generosa e tormentata “invenzione democratica”. Certo, il fantasma della scissione è poca cosa a confronto di ciò che preannuncia lo schema di Bettini. Purtroppo la sinistra deve sempre fare i conti, ciclicamente, con la tentazione del massimalismo. Non importa che oggi il contesto sia diverso, tanto da far dubitare, per istinto, della congruità di un vecchio termine (usato e abusato). In ogni caso, la “sinistra” che si pensa affrancata dal sano confronto con il “centro”, puntando con ciò a superare la formula del partito di “centrosinistra”, agisce sotto l’influsso di un massimalismo sui generis, formalmente diverso dall’antico, ma non di meno pretestuoso e fragile come l’antico.
E questo non è un problema che possa riguardare unicamente la sinistra.