Pubblichiamo un intervento di Giuseppe Fioroni da huffingtonpost.it
di Giuseppe Fioroni
Chi ha tenuto la barra dritta, osservando il rigore di una posizione alternativa ai gialloverdi, non ha motivo di attenuare in articulo mortis la critica a questo governo. Il problema politico, tuttavia, non è stabilire il grado di fedeltà come partito alla linea di opposizione, ovvero il grado di coerenza che finora ha caratterizzato i nostri comportamenti; piuttosto è l’individuazione di uno sbocco alla crisi che la brusca accelerazione di Salvini ha prodotto nel quadro della maggioranza di governo. Dobbiamo farlo, evidentemente, con lo stesso rigore che ha guidato la scelta di stare all’opposizione.
Perché dovremmo favorire il diktat di Salvini, aderendo all’ipotesi di elezioni a tappe forzate e con il fiato sospeso? Si dice, da qualche parte, che in fondo il Pd avrebbe comunque da guadagnare, vada come cada, perché gli italiani avranno di fronte una rappresentazione corretta delle responsabilità. Sicché, se dovesse aumentare lo spread o ci fosse necessità, per contro, di una finanziaria “lacrime e sangue”, gli elettori saprebbero con chi prendersela. Non certo con l’opposizione, non certo con il Pd! E dunque le elezioni, cadendo nel vortice di queste difficoltà, potrebbero incrociare una radicale inversione negli umori della pubblica opinione. In sostanza, all’azzardo di Salvini potrebbe succedere un azzardo diverso ed opposto, quello cioè di un partito che gioca cinicamente sui disastri di un governo morto e lucra sul possibile innesco di una reazione antipopulista e antisovranista.
Se fosse questa la scelta del Pd, molti di noi proverebbero disagio o vergogna, essendo palese il contrasto con la visione di una politica fondata principalmente sul senso di responsabilità. Sappiamo bene che il precipitoso ricorso alle urne può gettare il Paese nel caos. Ci troveremmo a combattere, per giunta, anche con quel governo di garanzia che il Presidente della Repubblica finirà per proporre alle Camere. Salvini potrà ancor prima e ancor meglio di noi, nutrendosi di demagogia e irresponsabilità, erigersi a paladino degli interessi del popolo italiano, contro le inconcludenze grilline e al tempo stesso contro l’impotenza – potrà andare diversamente – del governo incaricato di seguire gli affari correnti. Il Pd sarebbe allora costretto a sbandierare un oltranzismo di tipo morale, con l’unico risultato di tonificare quel tanto che basta la fedeltà di un elettorato riconsegnato, per questa via, al deprecabile stato di marginalità e frustrazione.
A Salvini non dobbiamo fare regali, come ne faremmo se anche appoggiassimo la sua richiesta di elezioni a tamburo battente. Non si tratta di giustapporre al suo impetuoso disegno politico, gravido di potenziali pericoli sul piano della tenuta democratica del Paese, l’impossibile accordo di programma (con i 5 Stelle) per un governo di legislatura. C’è da guidare una transizione, caricandosi ognuna delle parti disponibili il giusto peso di questa fase intermedia, prima di tornare al giudizio del corpo elettorale. Frenare gli istinti e moderare le passioni rientra, del resto, nel circuito della grande tradizione del cattolicesimo popolare e democratico. Essa non può sparire perché il Pd, e cioè l’involucro che ne accoglie il retaggio più autenticamente progressista, s’inabissa nel vuoto di una pura rimostranza a tutela del suo essere opposizione, anche a dispetto del superiore interesse del Paese. Una forzatura in tal senso metterebbe a repentaglio la consistenza di un progetto che strategicamente, attraverso l’unità delle forze riformatrici, doveva e deve mirare alla ricostruzione civile ed economica dell’Italia.