La Ferrero sta investendo nella nostra provincia da alcuni anni con l’obbiettivo di aumentare la produzione delle nocciole: quale sarà il futuro di questa attività economica e quali i risvolti sociali?
La Ferrero è il terzo colosso dei prodotti dolciari a livello globale. Un capitalismo tutto all’italiana che parte da Alba nella prima metà del Novecento da una famiglia di pasticcieri, che nel giro di mezzo secolo ha conquistato i mercati di tutto il mondo. Un colosso con 95 società e 25 impianti produttivi. La Nutella, il loro marchio distintivo e più conosciuto al mondo, è un prodotto controverso; da un lato la sua bontà, ma dall’altro i dubbi circa la sostenibilità ambientale della produzione del suo ingrediente base, la nocciola.
Se per far fronte alla richiesta di nocciole la Ferrero importa quasi un terzo della produzione turca, il colosso sta investendo in Italia per aumentare la produzione, anche dove le nocciole non sono un prodotto tipico come l’Abruzzo, il Molise, l’Umbria e la Toscana. Un investimento, come spiega l’interessante inchiesta su Internazionale di Stefano Liberati dal titolo Il gusto amaro delle nocciole, che mira ad aumentare la produzione delle nocciole passando dalle attuali 70 mila tonnellate fino a 90 mila. Per raggiungere questo scopo sarà inevitabile aumentare le superfici delle colture di almeno 20 mila ettari.
Già da anni il colosso di Alba ha iniziato a investire nella nostra provincia e infatti le zone intorno ai Monti Cimini sono disseminate di piantagioni. “Con i suoi 22 mila ettari, quasi un terzo del totale nazionale – nota Liberati – la provincia di Viterbo è la principale area di produzione italiana di nocciole. Anche grazie al sostegno della Regione Lazio, la Ferrero punta ad aumentare qui le superfici di altri diecimila ettari entro il 2025. Così nuovi impianti stanno proliferando, occupando zone dove normalmente gli alberi non c’erano”.
Un dibattito quello sulle nocciole davvero controverso. Da un lato chi vede con positivismo le colture perché fonte di guadagno per un’agricoltura davvero con l’acqua alla gola, dall’altro c’è chi sostiene che non solo queste colture devastano l’ecosistema ma attraverso l’uso dei fitofarmaci incidono negativamente sulla salute pubblica.
“Il piano di espansione – dice ancora Liberati – ha portato a una polarizzazione senza precedenti: da una parte il biodistretto e un pezzo di società civile più sensibile ai temi ambientali, dall’altra le principali organizzazioni dei produttori, che accusano i primi di avere una visione romantica dell’agricoltura e di non conoscere i fondamentali della produzione”.
I rappresentanti di categoria, a sostegno dei coltivatori, assicurano che la nocciola è una coltura che vuole pochi trattamenti, quindi con un minimo impatto, e che non esiste un problema di monocultura visto che nel Viterbese su 260 mila ettari solo 22 mila sono destinati alle nocciole. Le associazioni a tutela e a salvaguardia dell’ambiente sostengono al contrario che le monoculture di noccioleti, non solo distruggono la biodiversità e l’ecosistema, ma l’uso e l’abuso dei pesticidi andrebbe a minare la salute pubblica. Per molti la Ferrero nella Tuscia starebbe inoltre proseguendo una logica di depauperamento del settore non valorizzando il prodotto, poiché non acquista nocciole biologiche incentivando così, per mantenere certi standard qualitativi, l’uso di pesticidi
“Un dilemma ricorrente in agricoltura – scrive sempre Liberati -: la scelta tra un modello di produzione che garantisce un buon reddito agli agricoltori, ma ha un certo tipo di impatto, e uno con rese minori ma più in armonia con il territorio”. La società di Alba garantisce che nel Viterbese gli impianti saranno costruiti nel rispetto dell’ambiente a garanzia della biodiversità, ma l’autore fa notare che “in verità, il rapporto che l’azienda di Alba ha qui con la produzione ricorda per certi versi quello che ha in Turchia: controllo delle varie fasi della filiera, ma scarsa valorizzazione del prodotto in sé. Nel 2012 la Ferrero ha acquisito il gruppo Stelliferi, principale azienda di commercializzazione di nocciole in guscio e semilavorati, con un’operazione simile a quella conclusa successivamente con la Oltan in Turchia. Non ha tuttavia creato impianti di trasformazione come quelli di Sant’Angelo dei Lombardi, in provincia di Avellino, o di Balvano (Potenza), aperti dal patron Michele all’indomani del terremoto del 1980. Così, la nocciola viterbese è una pura commodity, una merce indistinta, che lascia il territorio per essere trasformata altrove”.
Sembrerebbe dunque piccolo il riscontro sul lato occupazionale, ma molte le possibili ricadute sulla salute. Ma del resto molte famiglie nel Viterbese vivono proprio di questo e quindi è impossibile vietarne la coltura. Intanto, per accertare i rischi derivati dall’uso dei fitofarmaci, sia la Prefettura, con l’istituzione di una Commissione di studio, che il Comune, con un Consiglio straordinario aperto alla cittadinanza l’11 luglio, si sono mossi. Vedremo quale sarà il dato che emerge.