Oggi al duomo di Firenze i funerali di Franco Zeffirelli. A Viterbo, che lui frequentò di tanto in tanto per motivi privati, molti in questi giorni l’hanno ricordato, tributandogli i doverosi onori. Ma Viterbo è anche la città che al grande regista disse di no quando – correva l’anno 2009 ed era sindaco Giulio Marini – il maestro presentò un progetto per la Macchina di Santa Rosa.
In qualsiasi città normale avrebbero preso la palla al balzo. Avrebbero ringraziato e, muti, avrebbero acceso mille ceri a Santa Rosa per avergli fatto cadere la manna dal cielo. Avrebbero capito che sarebbe stata la più grande operazione di marketing che la città, per grazia ricevuta, si sarebbe trovata a mettere in piedi a costo zero. Data la popolarità di Zeffirelli, che, può piacere o no, è il resista italiano più famoso nel mondo, la ricaduta per l’immagine della festa e il nome del capoluogo della Tuscia sarebbe stata incalcolabile. Di Santa Rosa, la Macchina e ogni cosa si sarebbero prima o poi occupati i giornali nazionali e internazionali, sarebbero giunte le televisioni e ne avrebbe giovato il turismo. Ma no: la città di Viterbo scelse la Macchina di Arturo Vittori, quando a Zeffirelli, al di là del concorso a cui lui stesso non si sottrasse, la si sarebbe potuta affidare anche con un incarico diretto per conclamata importanza del nome.
Ora però tutti si battono il petto al cospetto del defunto. Tristezza e pena. Come le cagnette di De André inferocite con Bocca di rosa, i viterbesi azzannano chi si avvicina e si azzannano tra loro per non farsi sottrarre l’osso. Senza rendersi conto che, più che degli ossi, ci sarebbe bisogno della ciccia.