da huffingtonpost.it riprendiamo un intervento di Giuseppe Fioroni
di Giuseppe Fioroni
Siamo d’accordo nel riconoscere che il voto europeo ha ridato ossigeno al Partito democratico. E siamo anche d’accordo, però, nel ritenere che in prospettiva la partita politica sia tutta da giocare, perché le percentuali elettorali variano anche per effetto dell’astensionismo.
L’incoraggiamento degli elettori significa anzitutto che un blocco tradizionale, fedele alla missione del partito, ha inteso rinnovare domenica la propria fiducia. Naturalmente non basta guardare all’attuale base di consenso. L’ondata sovranista è troppo potente per essere insidiata e battuta da un partito incapace di aprirsi a nuove alleanze.
Il problema, tuttavia, è che nessuno può contare sulla facile raffigurazione del futuro quadro del centrosinistra. Dunque, il pericolo maggiore consiste nell’immaginare che piccole formazioni politiche, costruite come protesi del partito maggiore, abbiano la forza e la credibilità d’intercettare la corrente sospesa del mondo moderato.
È vero, quando si parla di moderati si storce sempre il naso. Dovremmo inventare una parola diversa, più accattivante, forse anche più adeguata a esprimere la realtà oggettiva di un segmento così importante dell’elettorato.
I moderati, in ogni caso, esistono e sanno farsi valere, spesso rovesciando le previsioni più accreditate e sicure. A essi e a quanti ne dovrebbero incarnare le ragioni, i Democratici ancora si rivolgono con un misto di sussiego e altezzosità, quasi come un vecchio nobile del ’700 pre-Rivoluzione poteva rivolgersi al suo maggiordomo. Non può essere questo l’approccio.
Bisogna entrare nell’ordine di idee che una rinnovata capacità di rappresentanza del centrosinistra passa dal ricollocamento in area più centrale del Partito democratico. Solo questo “mettersi al centro” offre la possibilità di pensare a una forza di coalizione in grado di attrarre il voto dei moderati.
Si tratta, in definitiva, di cambiare paradigma. Sulla spesa pubblica, il riordino del welfare, la spinta all’innovazione, l’Italia moderata coltiva più ambizioni e attese di ciò che il vecchio moderatismo imbelle potrebbe farci intendere. Oggi con l’aggressivo bi-populismo di governo, sempre più a trazione leghista, emerge nel profondo un’istanza di razionalità ed equilibrio.
Un’istanza cioè di buon governo, dove non manchi il coraggio delle scelte impegnative e finanche coraggiose, purché maturino attraverso il consenso attorno ad una strategia di modernizzazione del Paese.
Se non si guarda a questa Italia, garantendo un nuovo spirito pubblico nel servizio alle istituzioni, si rischia di rimanere al palo.
Il Partito democratico deve farsi interprete di questa Italia che vuole risorgere, anche recuperando con orgoglio le cose buone realizzate dagli ultimi governi.
L’incertezza non fa da stimolo al vero rilancio della coalizione in grado di rivitalizzare la migliore tradizione del riformismo italiano. Un po’ di radici culturali e “identitarie” in questo sforzo ricostruttivo è quanto serve a un progetto politico di apertura e condivisione. Non a parole, ma nei fatti.