Nicola Zingaretti affronta la sua prima prova da segretario Pd. Il leader dem – riporta l’Ansa – ha fissato il successo della lista unitaria oltre quota 20%, in ripresa rispetto al 19% sfiorato alle Politiche 2018, ma ai piani alti del Nazareno come tra le fila avversarie tutti sanno che “l’obiettivo ottimale”, anche in vista di eventuali crisi di Governo, sarebbe il sorpasso al M5S.
I dirigenti vicini a Zingaretti, ma anche gli uomini della minoranza, si sono spesi molto nella campagna elettorale, consapevoli che il voto del 26 maggio sarà una sorta di primo tempo in vista delle prossime elezioni politiche, che siano in estate o tra quattro anni. “Dobbiamo tenere adesso e tentare il colpaccio nella ripresa”, spiegano i dem. E, partita nella partita, saranno anche le regionali e le amministrative: in Piemonte, così come nei tanti dei 3.800 comuni al voto amministrati dal centrosinistra, non sarà facile portare a casa una riconferma.
Dal risultato, poi, dipenderanno anche gli equilibri interni al partito. Fin qui, appunto, gli uomini della minoranza interna hanno concesso al segretario una ‘pax’ elettorale che gli ha permesso di brandire nelle piazze di tutta Italia la bandiera dell’unità, del cambio di passo rispetto al passato. “Era un Vietnam, il nostro popolo ci ha chiesto di non litigare e lo abbiamo fatto”, ama ripetere Zingaretti. Anche fonti di area Lotti-Guerini – riferisce sempre l’Ansa – rivendicano il lavoro fatto insieme: “Abbiamo fatto campagna con impegno e lealtà, di fuoco amico (al contrario del passato) neanche l’ombra”, è la sottolineatura.
Ma qual è l’obiettivo minimo perché la pax interna possa andare avanti? Sotto quale soglia partirebbe l’attacco a Zingaretti? Se dall’area Lotti-Guerini assicurano che Base riformista “continuerà a essere leale e collaborativa non rinunciando alle proprie posizioni, nell’ottica di rafforzare il Pd e l’alternativa ai populisti”, qualcuno che comincia a fare i conti c’è: “Alle politiche il Pd ha preso il 19% con 6 milioni di voti. Tutti guarderanno alla percentuale, che magari sarà il 21 o il 22, ma il numero da guardare sarà quello in numeri assoluti, cioè i 6 milioni”, è il ragionamento che viene fatto. Ad agitare il futuro del Pd, poi, c’è sempre poi il fantasma di una (nuova) scissione. Matteo Renzi, sin qui, dato anche il successo di popolo ai gazebo di Zingaretti, ha ribadito che il progetto di creare un nuovo partito “non è all’ordine del giorno”, ma le “cellule dormienti” dei comitati “Ritorno al futuro” e la rotta (nota) ma, non a caso, tracciata di recente – “si vince al centro e non a sinistra” – sono due indizi che, se non fanno una prova, poco ci manca.
E tanto dipenderà anche dalla nuova geografia dei partiti dopo le Europee. Walter Veltroni tifa, ancora una volta, unità. Per il padre del Pd, infatti, una eventuale scissione “sarebbe una sciagura”. “Io penso che Zingaretti e Renzi, Calenda e Gentiloni debbano coesistere nello stesso partito e debbano coesistere con tante forze dell’ambientalismo, movimenti, associazioni – dice l’ex segretario in un’intervista a l’Huffington post – l’invito che faccio è di aprire, ancora di più, porte e finestre, combattere il correntismo, allargare. Penso che abbiamo il dovere di avere una grande forza riformista, pluralista, capace di guardare sia a sinistra che al centro, anche in tempi proporzionalisti. E mi sembra che il lavoro che ha positivamente iniziato Nicola Zingaretti in queste settimane vada in questa direzione”.