Da www.ildomaniditalia.eu riprendiamo e pubblichiamo l’intervento di Enrico Mattei al I Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana – Roma, 24-28 aprile 1946
Nel giorno delle celebrazioni del 25 Aprile, segnate quest’anno dall’ambiguo destreggiarsi in chiave polemica del Vice-Premier e Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, consideriamo questa rilettura dell’intervento di Enrico Mattei – capo partigiano e fondatore dell’ENI – al primo congresso della Democrazia Cristiana (Roma, 24-28 aprile 1946) un esercizio importante al fine di preservare il senso più profondo della memoria collettiva.
Affinché il passare dei mesi non attenui il ricordo e la considerazione per quell’esercito di volontari ai quali quasi esclusivamente fu affidato — in un primo tempo almeno — l’immane compito di provare a tutti gli italiani ed al mondo intero che il nostro popolo sa ancora amare la libertà fino a dare la sua vita per conquistarla e per difenderla; affinché la memoria di quanto questi nostri partigiani hanno compiuto per noi tutti, per ciascuno di noi, non si perda fra le tante assillanti preoccupazioni di ogni genere che opprimono oggi l’individuo e la collettività, per queste ragioni soprattutto ritengo mio dovere prendere la parola, non nell’intento di esaltare i combattenti del periodo eroico della guerra di liberazione — sarebbe a ciò la mia voce insufficiente —, ma per ricordare il loro sacrificio, per ricordarlo a me ed a tutti i presenti onde, nelle gravi cure dell’ora attuale, ci sia di conforto, di ammonimento e di sprone a perseverare nel cammino lungo e difficile che ancora ci resta da percorrere. Ma, a trattare della questione partigiana, sono anche indotto per aver notato come le numerose celebrazioni fatte nella seconda metà dello scorso anno e poi; con sempre minore frequenza, in questi primi mesi del 1946, vennero quasi esclusivamente organizzate ed effettuate da altri partiti politici che, come è ovvio, furono indotti a valorizzare ed a mettere in particolare risalto l’apporto delle unità partigiane che a tali partiti facevano capo e che da essi dipendevano. Ciò ha forse ingenerato, nell’animo di coloro che ascoltarono tali rievocazioni e che ne lessero i resoconti sui giornali, la convinzione che la lotta di liberazione sia stata un po’ il monopolio di uno o due partiti politici. Noi troppo poco parlammo, fino ad oggi, dei nostri partigiani e troppo poco ne scrivemmo, quasi fosse la materia a farci difetto. Orbene, pur concedendo che, per la complessità delle vicende del periodo clandestino, per il frequente costituirsi, disciogliersi e ricostituirsi delle unità partigiane, non è possibile dare le esatte proporzioni dei patrioti aderenti ad ogni singolo partito, ho ad ogni modo la ferma convinzione che la conoscenza dei dati a cui accennerò più avanti potrà servire a ristabilire più giuste proporzioni ed a rilevare quanto la Democrazia Cristiana ed i suoi combattenti hanno fatto perché l’Italia fosse libera e democratica. Potrà far pienamente capire a tutti perché noi non ci sentiamo a nessuno secondi in materia di guerra partigiana, e perché — come S.E. De Gasperi ha ben chiarito nel recente discorso di Torino — non possiamo acconsentire ad essere “accolti” da nessuno tra le file dei difensori della libertà. Noi fummo bensì, e siamo sempre, “al fianco” di tutti per la difesa e la diffusione della libertà, in assoluta parità di diritti con qualunque altro partito, come fummo a chiunque pari nel compiere il nostro dovere. Ne abbiamo una chiara conferma in alcune frasi della lettera che il Comandante Generale del C.V.L., Gen. Raffaele Cadorna, mi scrisse il 6 maggio 1945, in occasione della sfilata di 16 mila uomini delle formazioni democristiane a Milano, per celebrare l’avvenuta liberazione. Dopo aver affermato che l’opera delle formazioni della Democrazia Cristiana è stata benemerita non solo del partito, ma della guerra partigiana in genere, la quale, appunto per la fusione di tutte le correnti politiche nelle sue file, era divenuta veramente nazionale, il Gen. Cadorna aggiungeva: «Questa verità è apparsa chiaramente a tutti, oggi, nel contemplare affiancate ed affratellate formazioni di ogni colore, ma in particolare di colore rosso ed azzurro». Limiterò dunque la mia esposizione, necessariamente schematica, per mancanza di tempo, a quella parte del C.V.L. a nome della quale io posso parlare e della quale
conosco, per la lunga consuetudine, tutte le lotte, tutti gli eroismi, tutta la passione: le formazioni della Democrazia Cristiana. Prima di trattare di queste unità di combattimento, non sarà tuttavia inutile ricordare che, se molte delle divisioni e brigate partigiane poterono operare, tenersi in collegamento fra di loro e con i comandi centrali, ricevere aiuti finanziari, materiali d’equipaggiamento e di armamento, viveri, ecc., ciò fu grazie alla collaborazione strettissima, coraggiosa, temeraria talvolta, del clero cattolico di ogni grado e dignità, delle organizzazioni cattoliche di ogni genere. E questo è vero non solo per i partigiani combattenti sotto l’insegna della Democrazia Cristiana, ma anche per tutte le altre formazioni, così per le Divisioni Garibaldine, come per le Brigate Matteotti, le Brigate Giustizia e Libertà, e per le Formazioni Autonome. Tutte e ovunque ebbero nel sacerdote non solo il consolatore dei feriti e dei morenti, ma anche la staffetta fedele ed eroica; tutte ebbero nelle chiese e negli oratori il rifugio sicuro, talvolta le sedi dei Comandi, i depositi delle armi e delle munizioni e così via. Non è facile pensare come si sarebbe potuto organizzare e mantenere collegato l’imponente complesso delle forze dipendenti dal C.V.L. senza questo prezioso tessuto connettivo rappresentato dalla Chiesa Cattolica e dalle organizzazioni religiose e laiche da essa dipendenti. Tutto ciò, senza contare la partecipazione attiva e diretta alla lotta di decine e decine di sacerdoti: comandanti di Divisione e di Brigata, Commissari di guerra nelle formazioni, informatori dei Comandi Partigiani, operai fra gli operai nelle officine per concorrere ai sabotaggi e per sorreggere la fede dei loro compagni di lavoro, con i quali si fecero spesso deportare in Germania. Non vi è regione, non vi è provincia che non abbia dato il suo contributo di sacerdoti morti, torturati, arrestati e deportati. Devo ricordare, fra i tanti, Don Umberto Bracchi e Don Francesco Delnevo, assassinati dalle SS tedesche durante il rastrellamento del luglio 1944, nel Nord Emilia. E Don Emanuele Toso, Don Attilio Pavese, Don Giovanni Bobbio, Don Enrico Pocognoni e tanti, tanti altri che lasciarono la loro vita sulle montagne del nuovo calvario d’Italia, onde portare il conforto della fede a coloro che combattevano per far sì che di fronte alla efferata violenza di una pseudo civiltà pagana trionfasse il precetto della carità cristiana. E come ricordare le migliaia di prigionieri alleati, di israeliti, di perseguitati politici che riuscirono, grazie all’aiuto dei sacerdoti, a mettersi in salvo oltre confine? Basterebbe leggere le pagine in cui Don Aurelio Giussani condensò l’attività dell’O.S.C.A.R. (Organizzazione di Soccorso Cattolica agli Antifascisti Ricercati), nata nel Collegio San Carlo a Milano, per convincersi di quanto fu fatto in questo campo dallo stesso Don Giussani, da Don Ghetti, Don Bigatti, Don Motta, Don Barbareschi, aiutati da pochi altri collaboratori laici della Democrazia Cristiana. Non senza significato è la lettera che il Comando Generale del C.V.L. ha inviato, in data 5-5-1945, alla Rev.ma Superiora Generale delle Suore della Riparazione, in Milano, per ringraziarla dell’ospitalità che il convento diede al Comando Generale stesso. Parlando del 25 aprile 1945, la lettera dice testualmente: «In quel giorno, da codesta Casa Generalizia, si decisero le sorti di questa preziosissima parte dell’Italia affidata al C.V.L.». E continua: «… Un giorno gli italiani conosceranno che da cedeste mura partirono gli ordini per la risurrezione della Patria». Prima di chiudere questa parte introduttiva, lasciate ancora che io chieda allo stesso Gen. Clark di valutare l’efficacia dell’azione militare svolta dalle formazioni della Democrazia Cristiana. In una comunicazione fattami in data 4-10-1945, il Gen. Clark riconobbe che, pur nella difficile situazione creata dalla deficienza di armi e di equipaggiamento, le unità della Democrazia Cristiana sono state impiegate in modo da recare “il massimo vantaggio” agli Alleati nella loro avanzata per la liberazione del territorio italiano. E prosegue riconoscendo altresì che il contributo dato dalle formazioni della Democrazia Cristiana alla causa dell’Italia e degli Alleati “è stato
degno delle più alte tradizioni delle genti amanti della Libertà”. Passo finalmente a dare una succinta relazione — a base di cifre — sulle forze della Democrazia Cristiana nelle diverse regioni e sull’attività da esse svolta. Chiedo venia, fin d’ora, a tutti coloro — e sono la quasi totalità — che, per mancanza di tempo, non potrò ricordare come vorrei. Sappiano però tutti i reparti e tutti i singoli partigiani che essi mi sono ugualmente presenti nella mente e nel cuore, ugualmente vicini come nei giorni della lotta comune. Ma sono decine di migliaia di figure e di azioni che balzano alla memoria. Sulla guerra partigiana già furono scritte centinaia di volumi, altri lo saranno, e non è nemmeno pensabile che in una breve relazione si possa far cenno di tutti gli uomini e di tutti gli avvenimenti. Spero tuttavia che sarà possibile, in un prossimo avvenire, far conoscere meglio, per mezzo di alcune pubblicazioni, il contributo dato dalle singole regioni e dalle singole unità di combattimento.
Veneto
Democristiano era il Vice Comandante del Comando Regionale Veneto del C.V.L. (il Com.te Reg.le era generalmente un militare, un tecnico, senza determinato colore politico). 18 furono le Brigate democristiane inquadrate nelle Divisioni del Veneto. In altre 21 Brigate i due terzi dei componenti provenivano dalla Democrazia Cristiana. Complessivamente 14.500 uomini, che ebbero 716 morti, 493 feriti, 71 arrestati politici. Perdite inflitte al nemico: 1.218 morti, 811 feriti e 26.700 prigionieri. L’azione di sabotaggio di una sola brigata — la “Cesare Battisti”, della Divisione “Monte Grappa” — ha causato al nemico: — 2.692 ore di interruzione nei trasporti ferroviari da e per la Germania; — la distruzione di 2.030 metri di binario, fatti saltare con cariche esplosive; — l’annientamento di 34 locomotive e di 52 carri ferroviari. La Brigata Guido Negri ha al suo attivo il disarmo di tutti i soldati costituenti il presidio di Dolo: 150 nemici furono legati e imbavagliati, tutte le armi della caserma sottratte. La stessa Brigata ha effettuato il rilievo di tutte le fortificazioni della zona dell’Adige. Vennero compilati i “lucidi” con l’indicazione di tutti i dati di dettaglio, compreso perfino il numero delle cassette di munizioni contenute nelle riservette, ed inviati poi al Comando Superiore Alleato, attraverso la Svizzera. Questi dati, che si riferiscono a due sole Brigate, possono dare una chiara visione di quella che è stata l’attività svolta dal complesso delle forze democristiane venete. Non voglio terminare questo breve cenno sulla resistenza veneta senza ricordare la Divisione democristiana Domenico Rossetti, costituita dal C.L.N. di Trieste e che raggruppava oltre mille armati. È doveroso ricordare, l’attività di Don Marzari — presidente del C.L.N. di Trieste — di Guidi, Monti e Marzi. Quest’ultimo, prima arrestato e torturato dai nazifascisti, poi, riuscito a fuggire, catturato dagli slavi e deportato in Jugoslavia. E tutti i caduti in combattimento: Di Peco, Dussi, Federici ed altri, che non possono essersi sacrificati invano. Come risultato pratico, insorgendo tre giorni prima dell’arrivo delle bande di Tito, hanno impedito ai tedeschi di far saltare il porto, già da tempo minato. Oggi, Trieste è una città quasi intatta. E chiudo rievocando un eroe padovano: Luigi Pierobon. Comandante di una Brigata, distintosi in centinaia di azioni rischiose, fu fucilato il 17 agosto 1944 dopo di essere stato arrestato nel tentativo di raccogliere in pianura altre forze per le formazioni partigiane. Agli sgherri che non gli concessero la fucilazione al petto disse: «Siete servi venduti; noi moriamo per l’Italia». La scarica lo colpì mentre stringeva nella mano la corona del Rosario, quella corona che la mamma gli aveva dato e che, nel testamento orale fatto al confessore, egli lasciò ancora alla sua mamma.
Lombardia e provincia di Novara
II primo rappresentante della Democrazia Cristiana in seno al Com.do Gen.le del C.V.L. fu la nobile figura di Galileo Vercesi, valoroso pioniere dell’antifascismo, arrestato nel marzo 1944 e fucilato il 12 luglio dello stesso anno presso Fossoli. È stato proposto per la medaglia d’oro alla memoria. Democristiani furono anche il Vice Com.te della Piazza di Milano ed il Capo di S. M. del Comando Regionale Lombardo. Fra le formazioni democristiane della regione, meritano particolare menzione: 1) II Raggruppamento Divisioni “Di Dio”, costituito da nove Divisioni su 44 Brigate e da 2 Brigate autonome, al comando di Alberto (al secolo Dott. Eugenio Cefis) e di cui era Commissario Politico Luciano Vignati. Il totale degli appartenenti a queste unità ammontava a 16 mila uomini. Le loro perdite furono: 512 morti, 630 feriti, 91 prigionieri e arrestati per motivi politici. Inflissero al nemico: 617 morti e 397 feriti. Catturarono 9.465 prigionieri. Degno di nota fu inoltre il S.I.M.N.I. (Servizio Informazioni Militari Nord Italia), organizzato da Giorgio Aminta e che, per mezzo di quattro stazioni radio alleate, servite dagli uomini del Com.te Ike, trasmise al Comando Superiore Alleato circa 350 messaggi al mese, fino all’aprile 1945. Il Maresciallo Alexander inviò un telegramma di plauso al capo di detto servizio, per le brillanti prove fornite. 2) Raggruppamento “Brigate del Popolo”, al comando di Franco Marra. Comprendeva tre divisioni su 29 Brigate, per un totale di oltre 7 mila uomini. Ebbe 37 morti, 56 feriti, 39 arrestati politici. Inflisse al nemico 188 morti e 124 feriti. Furono catturati 2.475 prigionieri. Queste brigate svolsero un cospicuo lavoro di collegamento, di sabotaggio, di propaganda e contropropaganda. Stamparono e distribuirono in numerose località della Lombardia giornali clandestini e manifesti antitedeschi. Nei giorni della liberazione, immobilizzarono le unità corazzate tedesche transitanti nella zona, fino all’arrivo delle colonne corazzate alleate. 3) Nelle zone di Brescia, Bergamo, Como e in Valtellina, i Padri Filippini della Pace, di Brescia, sostennero fino dal loro nascere numerose formazioni di partigiani che diedero vita, nell’estate del 1944, a ben 25 Brigate di Montagna. Esse, pur conservandosi rigorosamente apolitiche, accolsero nelle loro file un numero sempre crescente di giovani provenienti dalle organizzazioni cattoliche. Tale numero ammontava, nel periodo insurrezionale, a circa 5.500 uomini. Le perdite di queste Brigate — che erano rappresentate in seno al Comando Generale del C.V.L. dall’esponente della Democrazia Cristiana — furono: 61 morti, 45 feriti e 18 prigionieri. Al nemico inflissero 150 morti e 224 feriti. Segnalo l’opera svolta in seno a queste formazioni ed a favore delle stesse dal Dott. Sartorio Claudio e dalla Prof. Bianchini, i quali diressero successivamente anche l’Ufficio Assistenza alle famiglie dei patrioti caduti, presso il Comando Generale del C.V.L. dedicando la loro attività anche al giornale “Il Ribelle”. Numerosi furono i sacerdoti che si distinsero per la loro attività, subendo arresti e deportazioni, per aiutare questo movimento partigiano: Padre Manziana. Padre Rinaldini, Don Giacomo Vender, Don Nomolli, Don Almici, Mons. Fossati, Don Tedeschi il quale dopo essersi rifugiato a Milano perché ricercato accanitamente, non tralasciò di collaborare dal suo malsicuro nascondiglio al giornale clandestino “Il Ribelle”. E Don Carlo Comensoli, Capo di S. M. della Divisione “Tito Speri”; Don Milesi, Comandante Militare della Val Brembana e proposto per la medaglia d’argento al v.m., ecc.
Piemonte
Oltre alle formazioni del Novarese, già citate perché facenti parte del raggruppamento Divisioni “Di Dio”, dipendente dal Comando Regionale della Lombardia, operavano in Piemonte tre Divisioni democristiane, fra cui la Divisione “Patria” e l’VIII Divisione Vall’Orco e tre altre Divisioni composte quasi totalmente di elementi democristiani ma inquadrate nel Raggruppamento Autonomo del Comandante Mauri. In totale circa 6.500 uomini. Ebbero complessivamente 127 morti e 182 feriti. Inflissero al nemico 217 morti e 165 feriti. Furono da essi catturati 1.911 prigionieri. Numerosi i partigiani proposti per ricompense alla memoria ed al valore.
La figura del patriota Laurenti Battista, proposto per la medaglia d’oro alla memoria, è sufficientemente caratterizzata da questo episodio: dopo numerose azioni di particolare audacia, che lo fecero promuovere per meriti eccezionali al grado di Comandante di Brigata, si presenta con 8 uomini armati di sole pistole, alla Caserma della Direzione d’Artiglieria di Torino; disarma le sentinelle e l’intero corpo di guardia, sorpresi da tanta audacia; tiene in scacco un centinaio di uomini fra cui il Colonnello Comandante, e si procura un forte carico di armi per la sua formazione. Sopravvenuti rinforzi nemici fa partire i compagni sull’automobile e, a piedi, copre la loro ritirata. Tornato in Torino, alcuni giorni dopo, per altra impresa del genere, è riconosciuto, immediatamente arrestato e, contro ogni legge di guerra, fucilato sul posto. La Divisione “Patria” — comandata dal Prof. Edoardo Martino (Malerba) — già protagonista dell’eroica resistenza opposta alle forze tedesche a Cantavenna nel novembre 1944 — per vendicarsi della quale il nemico distrusse sessanta delle centoquaranta case del paese, e prelevò ostaggi, fucilò civili, bombardò la Chiesa Parrocchiale ed il Cimitero — si meritò dal Magg. Leach, Capo della della Delegazione Militare Alleata per la provincia di Alessandria, ove fu paracadutato nel mese di marzo 1945, un lusinghiero elogio. Termino questo rapido sguardo alle formazioni partigiane del Piemonte dicendo che ad esse spetta il merito di aver liberato la regione e salvato le centrali elettriche e i grandi stabilimenti di produzione, prima ancora che le truppe alleate arrivassero nella zona. Ad onore dei partigiani piemontesi voglio ancora ricordare che, nella sfilata del 6 maggio 1945, a Torino, essendo presenti osservatori delle Missioni Militari Alleate, i partigiani di tutte le formazioni rinunciarono a portare i distintivi di partito (fazzoletti azzurri, rossi, ecc.), pur ad essi tanto particolarmente cari, e sfilarono come unica imponente massa, da nessuna ideologia politica divisa, unita in blocco indissolubile dallo stesso amore per l’Italia. A tale proposito mi piace rammentare come sempre la Democrazia Cristiana abbia avuto la tendenza a proporre e ad incoraggiare, per mezzo dei suoi rappresentanti in seno al Comando Generale del C.V.L., la riunione di tutte le formazioni partigiane in un unico esercito, superando ogni distinzione politica e qualunque desiderio di autonomia. A questa tendenza unificatrice la Democrazia Cristiana, che pure non aveva interesse politico alcuno a fondere le sue formazioni, tanto numerose, con quelle degli altri partiti, non tutte e non sempre ugualmente numerose, fu indotta dall’esperienza dei primi mesi di lotta e dalla convinzione che solo un comando unificato e la attenuazione — poiché la soppressione era impossibile — delle divergenze di carattere politico, potevano potenziare ulteriormente l’azione militare. Posso affermare quindi, con sicura coscienza, che fu anche merito della Democrazia Cristiana se notevoli risultati vennero conseguiti a tal riguardo.
Liguria
Non è possibile, per la Liguria, citare formazioni di partigiani totalmente democristiane, poiché nelle Divisioni e nelle Brigate liguri militavano, frammisti, partigiani di ogni colore politico. Ne la Democrazia Cristiana ravvisò l’opportunità di staccare i propri aderenti dalle unità in cui si trovavano, dato l’assoluto affiatamento raggiunto dai reparti e la reciproca tolleranza sulle questioni politiche — almeno nella maggior parte delle formazioni — e in considerazione anche della impossibilità di ottenere questo frazionamento e questa differenziazione delle forze politiche senza nuocere all’azione militare, che allora soprattutto importava. In tal modo, elementi della Democrazia Cristiana rimasero nelle formazioni garibaldine. Comunque una importante aliquota dei 15 mila partigiani che costituivano le forze insurrezionali delle quattro zone liguri e del Comando Piazza di Genova era di tendenze democristiane, così come democristiani erano molti dei comandanti di grado più elevato: l’Intendente e Tesoriere del Comando Regionale ligure, il Capo di S.M. del Comando Piazza di
Genova, il Vice Com.te della VI Zona Ligure, il Com.te di una Divisione e quelli di due Brigate, il Com.te della Piazza di Albenga, ecc. Democristiano era pure il Com.te Bisogno, una fra le più belle figure del movimento partigiano ligure, caduto per la liberazione della sua terra e di cui oggi ancora si ricordano con immutate ammirazione e commozione le fulgide e quasi leggendarie gesta. Sulle montagne della Liguria tre sacerdoti caddero per portare l’assistenza religiosa ai loro partigiani.
Emilia
Esponenti della Democrazia Cristiana erano il Vice Com.te del C.V.L. Nord Emilia e il Commissario Politico della stessa zona, il Vice Com.te Regionale del Sud Emilia, il Com.te della Divisione Garibaldina Val d’Arda, il Capo di S.M. della XIII Zona del C.V.L. di Piacenza, il Commissario politico della I Divisione “Piacenza”, l’Ispettore del C.V.L. per il Nord Emilia e l’Ufficiale di Collegamento tra il Comando Generale del C.V.L. e il Comando Regionale Emiliano. Undici delle ventun Brigate del Nord Emilia erano democristiane ed agivano in parte autonome ed in parte raggruppate nelle Divisioni “Val Taro”, “Monte Orsaro”, “Ricci”, “Gruppo Brigate Cento Croci “. Nel centro e nel sud dell’Emilia, la Democrazia Cristiana aveva messo in campo altre brigate, quali la I e la II Brigata “Italia”, la Brigata “Orlandini” e reparti minori autonomi. Complessivamente circa 8 mila uomini di cui ben 271 morti e 266 feriti in combattimento. Ottantatre partigiani furono presi ed arrestati per motivi politici. Al nemico furono causate le seguenti perdite: 1612 morti e 731 feriti. Catturati 14.103 prigionieri. Fra le azioni di sabotaggio ricordo: il deragliamento di un treno militare tedesco sotto la ferrovia del Borgallone, che rimase ostruita per oltre tre mesi, e la sottrazione della dotazione di “radium” dall’ospedale di Modena, effettuata d’accordo con il Direttore. Furono prelevati 180 milligrammi di radium con il relativo blocco protettivo di piombo, del peso di circa un quintale, senza che nessun sentore del fatto giungesse alle numerose polizie operanti in città. In tal modo si prevenne l’attesa requisizione tedesca del prezioso elemento. Il Commissario Politico del Nord Emilia — l’on. Pellizzari — in pieno periodo di guerra, sotto gli occhi del nemico e della sua sbirraglia, fondò sezioni della Democrazia Cristiana in tutti i Comuni fra la Via Emilia e gli Appennini e tenne il primo convegno pubblico dei democristiani di tutta la zona. Ancora nel Nord Emilia il Comando Unico parmense, in comunicazione diretta con il Comando Alleato e d’accordo con esso, dopo aver per un anno dominato tutta la zona tra gli Appennini e il Po, in tre giorni di accanita battaglia, dal 7 al 10 aprile 1945, liberò tutte le città ed i paesi occupati dal nemico nelle retrovie del fronte; fece prigioniere tutte le guarnigioni tedesche e liberò le strade all’avanzata alleata, finita la quale consegnò agli alleati 17.800 prigionieri, di cui almeno 8500 catturati dalle Brigate della suddetta Divisione. Sempre nell’Emilia, non si può tacere di Don Anelli, parroco di Belforte in Val di Taro, che due volte passò a piedi le linee e due volte le ripassò in volo portando con il paracadute, al Comando Unico parmense i fondi inviati dal Governo di Roma, ed assumendosi le più rischiose missioni. E Franco Franchini, Ufficiale Ispettore del Commissario Politico Pellizzari, che, gravemente ferito e fatto prigioniero dai tedeschi, entrò in Berceto su una barella, cantando: «Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta». E oltre a questi autentici eroi, altri non meno valorosi: Pestarini, i fratelli Cacchioli (alias Beretta), Giuffra, Richetto, e centinaia ancora di cui a malincuore, per mancanza di tempo, dobbiamo tacere i nomi.
Toscana
Nel marzo 1944 si costituì presso Massa la formazione partigiana denominata “Gruppo Patrioti Apuani”, la quale poco più tardi già riuniva 1.500 armati. La formazione ebbe una esistenza travagliata, in continua lotta con il fortissimo presidio di Massa e con altre unità nemiche di passaggio nella zona. Le condizioni di vita divennero ancor più difficili dopo il settembre 1944, quando i tedeschi con reparti di SS e di carri armati, con cani poliziotti e gas asfissianti rastrellarono e devastarono la zona, facendo evacuare Massa, incendiando 35 paesi di montagna, uccidendo e bruciando donne e bambini. In tali condizioni non è meraviglia se il gruppo ebbe oltre 180 morti (il 12 per cento della forza) e 520 feriti (il 42 per cento della forza). Fra questi si contano 130 mutilati ed invalidi. A Firenze, l’Avv. Francesco Berti della Democrazia Cristiana, fino dal settembre 1943, iniziò, d’accordo con altri esponenti del partito, la costituzione di formazioni militari democristiane. Nella primavera del 1944 la forza dei gruppi organizzati ed armati, nella città di Firenze, era di 200 uomini, all’epoca dell’attacco, era salita a 800. Fuori città si costituirono il Raggruppamento Bande “Pio Borghi” e la “Formazione Tricolore Perseo”, che riunivano nelle loro file complessivamente 850 partigiani, bene armati ed addestrati. Dette formazioni ebbero, in totale, 31 morti, 29 feriti e 27 arrestati per motivi politici o catturati in combattimento. Inflissero al nemico, a tutto il 27 agosto 1944, 53 morti e 71 feriti, facendo 243 prigionieri. Alla liberazione di Firenze, alcune bande della Democrazia Cristiana continuarono a combattere con gli Alleati sulla linea del Mugnone, costituendo la Compagnia “Goffredo Mameli”. Non mi è possibile parlare della resistenza nell’Italia Centrale, in quanto non mi è nota, nei particolari, la situazione di quelle regioni; infatti il mio incarico di Comandante delle Forze Partigiane della Democrazia Cristiana per l’Alta Italia e di componente del Comando Generale C.V.L., mi ha posto in condizione di conoscere a fondo il movimento partigiano solo nelle province situate al nord della linea gotica. Riepilogando, il totale delle forze che combatterono affiancate alla Democrazia Cristiana nel territorio di mia competenza, fu di 65 mila uomini, raggruppati in 181 Brigate o Unità corrispondenti. Tali effettivi, con gli ausiliari e con le forze aggiuntesi nei giorni dell’insurrezione, salirono a circa 80 mila uomini. Le perdite partigiane furono: 1.976 morti, 2.439 feriti, 337 prigionieri. Quelle nemiche: 4.057 morti, 2.631 feriti, 54 mila circa i prigionieri. Questo il contributo della Democrazia Cristiana alla vittoria comune. Tali cifre, senza nulla togliere al valore delle truppe alleate operanti in Italia, alle quali spetta il merito esclusivo di aver spezzato la linea gotica ed annientato le più forti unità nemiche ed alle quali va, ancora una volta, la nostra sincera e profonda riconoscenza; tali cifre, dicevo, mostrano tuttavia, quanto l’avanzata alleata sia stata, in un secondo tempo, facilitata da queste schiere di eroici partigiani — garibaldini, democristiani, appartenenti alle Brigate “Giustizia e Libertà”, Matteotti, ed Autonome — che, fraternamente uniti, non si limitarono ad attaccare le colonne tedesche in ritirata, ma che tennero impegnata durante tutta la guerra partigiana, fino a nove Divisioni naziste e la totalità delle forze repubblicane, che furono così interamente immobilizzate nel Nord Italia. Tali forze essi le logorarono e quindi le costrinsero a capitolare. Ho così terminato questa rapida ed incompleta rassegna dell’opera della Democrazia Cristiana e delle Formazioni Partigiane ad essa affiancate. Altre ancora operarono nelle diverse regioni dell’Italia settentrionale, ma dovetti rinunciare a comprenderle in questa breve rievocazione perché la difficoltà estrema di vincere la naturale modestia e la riservatezza dei Comandanti mi privò spesso degli elementi necessari a poter parlare, con sicura conoscenza, di tali formazioni. Per capire ancora meglio quanto sia difficile convincere questi nostri ragazzi a comunicarci la storia dei loro reparti, si aggiunga poi la ripugnanza che il combattente — e soprattutto il combattente delle Bande partigiane — prova a compilare delle “relazioni”, a congelare nel freddo schema
di un resoconto ufficiale lo slancio ardente e le appassionate vicende di una lotta eroica, la quale ubbidiva più agli impulsi improvvisi del cuore che ai saggi dettami della ragione; ma forse appunto perché questa sua apparente irrazionalità il combattente partigiano potè osare e vincere anche là dove nessun ragionamento, nessuna scienza militare avrebbe lasciato adito alla speranza. Io non oso dunque asserire che le cifre riferite nel corso di questa esposizione siano definitive e complete. Una sola cosa si può di esse affermare: tutte furono accertate e controllate. Ma quanti altri dati potranno venir ancora raccolti con una indagine più minuziosa, con un lungo e paziente lavoro di ricerca presso i singoli comandanti delle minori unità, presso tutti quegli umili e valorosi artefici della vittoria che sono i nostri partigiani. Signori, io vi ho parlato oggi di quell’Italia che ha combattuto contro il nazismo e contro il fascismo all’ombra della bandiera della Democrazia Cristiana, ma quando si pensi che altri italiani furono al fianco di questi nostri ragazzi e, pur sotto altre bandiere più o meno differenziate — nelle Divisioni garibaldine, nelle Brigate Matteotti, nelle Brigate Giustizia e Libertà, nelle Formazioni Autonome — gareggiarono con essi in valore e spirito di sacrificio, affratellati nella più schietta collaborazione, allora vien fatto di stupirsi che alcuno osi ancora oggi — dopo tante e sì mirabili prove — dubitare della capacità del nostro popolo a reggersi da solo in forme di vita democratica e libera. Ma ogni nostra Divisione, ogni nostra Brigata, fu un piccolo capolavoro di collettività democraticamente retta, pur nella necessaria disciplina imposta dalle esigenze militari del momento. Ogni nostra formazione fu un miracolo di equilibrio e di moderazione, pur nella arroventata atmosfera del combattimento, pure a contatto con quell’acre propaganda di odio e di crudeltà con cui il governo repubblicano tentava di avvelenare gli spiriti della gioventù italiana. Questi nostri partigiani che, grazie alle loro convinzioni religiose, ed alla mitezza dei loro costumi, stabilirono dovunque furono presenti un ordine civilmente cristiano, ci dicono con il muto, ma eloquente linguaggio delle loro gesta che non bisogna disperare, che sono ancora per noi disponibili nel fondo della nostra natura e dalla stirpe italica inesauribili valori divini ed umani affidandoci ai quali ogni rinascita sarà possibile. Noi democristiani, che fummo designati dalla fiducia di milioni di italiani ad interpretare le aspirazioni di tanta parte del nostro popolo, abbiamo anche la grave responsabilità di non venir meno all’aspettativa di coloro che di questo popolo furono la parte migliore: i partigiani. Essi guardano a noi con affettuosa simpatia, con la certezza che noi li comprendiamo, che li accoglieremo fra di noi per aiutarli nelle infinite loro necessità, per riscaldarli con il nostro affetto. Molti di essi hanno tutto dato; tutti furono pronti a dare la vita stessa per la nostra Patria e per la libertà. Ad essi che tutto hanno dato senza nulla chiedere, noi, che fummo dalla guerra immensamente meno provati, mostriamo con i fatti la nostra profonda sincera imperitura riconoscenza.