Un problema economico, sociale e ambientale. Dai Cimini alla Maremma, fino al lago di Bolsena e all’Alfina, al confine tra Lazio, Umbria e Toscana: non si contano più gli ettari di terreno che in poco tempo sono stati convertiti alla produzione di nocciole. Ed è proprio ai presidenti di queste tre Regioni che nei giorni scorsi la regista Alice Rohrwacher (“Corpo celeste”, “Le meraviglie”, “Lazzaro felice”) si è rivolta con un appello pubblicato sul quotidiano La Repubblica. Una lettera aperta per sapere se siano state fatte tutte le valutazioni sui possibili effetti che tali cambiamenti possono produrre.
Alice Rohrwacher, che il 28 ottobre scorso aveva partecipato alla conferenza stampa del Biodistretto della Via Amerina e delle Forre contro il progetto della Ferrero che vedrà aumentare ulteriormente le superfici coltivate a nocciole nella Tuscia, parla anche della situazione che si registra sui Monti Cimini e intorno al Lago di Vico, ricordando le terribili conseguenze che l’abuso di pesticidi e sostanze chimiche ha avuto sulle acque del bacino idrico.
Caro direttore, voglio lanciare sul suo giornale un appello alla presidentessa della Regione Umbria, Katiuscia Marini, al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, e al presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi. Scrivo nella speranza di trovare sia un’istituzione che abbia a cuore il proprio territorio e chi lo abita, sia una politica desiderosa e capace di pensare uno sviluppo vero e comunitario, sostenibile per tutti. Vivo e lavoro nell’altopiano dell’Alfina, tra Orvieto e il lago di Bolsena, là dove il confine tra Umbria, Lazio e Toscana è quasi invisibile, e per questo mi rivolgo ai tre governatori.
Qui ho realizzato due film, Le Meraviglie nel 2014 e Lazzaro felice nel 2018.
È un territorio con cui ho un legame molto intenso, un paesaggio che porto con me come una spada fatata, come un talismano. Eppure oggi, ad appena pochi anni – o addirittura mesi – di distanza, mi sarebbe difficile immaginare tali film in questo luogo. Non qui. Che cosa è successo? Ebbene, nell’ultimo anno sono stata spesso lontana da casa per motivi legati al mio lavoro, e al mio ritorno ho assistito a quello che, senza esagerare, definirei come uno dei più drastici cambiamenti del territorio da quando sono nata: un paesaggio nuovo, del tutto trasfigurato, dove campi, siepi, alberi scompaio-no per lasciar posto a impianti di nocciole a perdita d’occhio.
Niente, sia chiaro, contro le nocciole: non credo che di per sé questa sia peggiore di altre monocolture. Ma sono sgomenta di fronte alla vastità e alla pervicacia di un fenomeno che tutto ha invaso, dal bacino del lago di Bolsena all’Alfina e alla Maremma. Il cuore del paesaggio italiano si sta trasformando in una monocoltura perenne, che sta cancellando ogni co-sa. Non sto parlando della somma di tanti piccoli ettari do-ve economie familiari investono per integrare i propri redditi agricoli ma di grandi multinazionali che plasma. no e trasformano interi territori. Addirittura, molti picco-li contadini e allevatori con cui mi sono confrontata durante le riprese hanno sempre più difficoltà ad accedere alla terra per svolgere le loro attività, perché tutto il suolo fertile viene venduto a caro prezzo per questa unica gran-de monocoltura.
Loro stessi vengono corteggiati su più fronti ad entrare a fare parte di questo processo di trasformazione con il miraggio di lauti guadagni. Sono preoccupata. Non è la preoccupazione estetica del cittadino che vuole la bella campagna per rilassarsi la domenica. Fenomeni di tale vastità non possono non avere un impatto sull’ambiente e sull’assetto socio-economico di un territorio. Mi rendo conto che è una preoccupazione difficile da condividere perché non ha l’evidenza di un ecomostro su una spiaggia, ma si tratta di una trasformazione subdola che aggredisce un equilibrio complesso e che non si può cancellare con un po’ di dinamite.
Gli esempi del degrado esistono: l’impatto di queste monocolture si è già palesato proprio nella Tuscia e nei Cimini, dove tra tanti tragici eventi l’eutrofizzazione del lago di Vico ha compromesso l’intera vita delle sue acque. Mi sembra chiaro che siamo davanti a un fenomeno che trasforma il bene di pochi nel-la maledizione di tanti. Quali saranno i contraccolpi di un cambiamento così radicale del paesaggio, quali saranno le conseguenze dei trattamenti, dei fertilizzanti, dei diserbanti di una coltura così intensiva? Sono state fatte le dovute valutazioni di impatto ambientale, sulla salute pubblica, sulle preziose falde acquifere, sulle relazioni socio-economiche, sul turismo, per trasformazioni di tali vastità? Sono state coinvolte le istituzioni competenti, le Università, i comitati, la società civile per valutare se questa trasformazione sia davvero positiva per il territorio nel suo insieme? Se ritengono positivi tali cambiamenti, invito i tre presidenti a spiegarli a me e alle tante persone come me che assistono attonite a questa trasformazione. Se invece condividono le nostre preoccupazioni, agiscano guarito prima nel riprogettare le politiche di sviluppo di un territorio che appartiene a tutti noi.