di Ugolino Conte
Le primarie si sono svolte sabato scorso e qualcuno recrimina per la ridotta partecipazione – numeri alla mano – a scorno dei proclami ufficiali dello stato maggiore del Pd di Roma e del Lazio. Ha vinto Astorre, nuovo segretario regionale, quindi ha vinto Zingaretti: stavolta i pronostici sono stati rispettati.
Chi ha vinto merita rispetto, benché in democrazia lo meriti anche (e soprattutto) chi perde. Ciò nondimeno, fatti i dovuti riconoscimenti, rimane il dubbio che la vittoria sia stata “spinta”, per così dire, da fattori straordinari.
La sensazione, infatti, è che il concentrato di potere della Regione abbia fatto la differenza, mettendo le ali alla candidatura di Astorre. Forse è solo una sensazione. Sta di fatto che alcuni ambienti, direttamente influenzati dagli assessorati regionali, hanno contribuito più di altri alla mobilitazione degli elettori di orientamento Pd.
In tempi di celebrazione dei “liberi e forti”, come nel 1919 Sturzo aveva chiamato i potenziali interlocutori del Partito Popolare, appena fondato, si coglie la curiosa tendenza ad essere “forti” perché in realtà appaiono poco “liberi” (di scegliere) i fan di un determinato fronte. È sempre accaduto? Ecco, può darsi che questa sia la regola aurea del potere; eppure, in un partito veramente “democratico”, dovrebbe essere bandita la disparità di condizioni nel confronto elettorale interno.
Ora, visto che ha vinto, il fronte zingarettiano potrebbe dimostrare intelligenza correggendo la curva di un consenso alimentato dal richiamo del potere. Non basta vincere, bisogna convincere.