Sui nuovi noccioleti che sorgeranno in provincia di Viterbo la Regione dice tutto e il contrario di tutto.
In attesa di conoscere i chiarimenti – se mai arriveranno – chiesti dall’opposizione nei giorni scorsi sull’applicazione dell’accordo con la Ferrero che prevede nella Tuscia nuovi frutteti fino a una superficie massima di 1500 ettari di terreno, emergono evidenti contraddizioni tra le analisi di fattibilità, per chiamarla così, del progetto e gli obiettivi che sempre la Regione si pone di raggiungere con lo stesso.
Basta tornare al 13 maggio del 2105, quando Zingaretti firmò con Ferrero e Ismea, l’istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, il tanto discusso accordo:
“Ismea – si legge a un certo punto nel resoconto dell’incontro – seguirà tutto il processo e potrà garantire la formazione, l’adeguatezza degli interventi, l’identificazione delle terre e anche la promozione dell’utilizzo degli strumenti istituzionali di sostegno economico-finanziari. Tra le altre cose Ismea avrà il compito di valutare anche la presenza di altre aree con le caratteristiche climatiche e ambientali compatibili con la coltura delle nocciole”.
Quindi un progetto non circoscritto solo alla zona dei Cimini. Che però sembra mal conciliarsi con le considerazioni che invece fa Arsial – l‘Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura nel Lazio – il 17 aprile scorso al termine di un convegno a Nepi sulla nocciola:
“Un ulteriore ampliamento delle aree dedicate alla corilicoltura nel Lazio – scrive l’Arsial nella propria relazione – non potrà che essere associato all’adozione di rigidi criteri di sostenibilità ambientale, tanto più che una prima analisi condotta dal Crea sulla scorta dei dati acquisiti per la redazione della carta pedologica regionale, mentre esclude la presenza di terreni ‘adatti’ alla coltivazione del nocciolo (S1), individua solo un 43% dei suoli come moderatamente e marginalmente ‘adatto’ (S2, S3) alla coltura”.
Delle due l’una, non ci sono vie di mezzo: o “avanti tutta” con l’accordo, oppure “fermi tutti” perché nel Lazio oltre ai terreni già coltivati, non ci sarebbero più le condizioni per sviluppare oltre questo tipo di produzione.
Insomma, la Regione coma la pensa?