Che i social sono un grande “monnezzaio” non fa notizia. Illustri scrittori, intellettuali, ma anche gente comune non ne ha fatto mistero fin dalla loro comparsa. Proprio perché si tratta di piattaforme in cui ognuno dà libero sfogo ai propri istinti più barbari, senza alcun freno inibitorio, fa specie che l’attuale classe politica dirigente si faccia fautrice di una comunicazione a trazione social. Nell’epoca in cui un ministro della Repubblica, in barba alla più minima forma istituzionale, apre un avviso di garanzia in diretta Facebook sorseggiando un’aranciata e irridendo il potere giudiziario. Nell’epoca in cui un ministro della Repubblica decide cosa si debba leggere o no. In cui, senza alcun riguardo per la libertà di espressione e di stampa, si invita a non leggere i giornali, a non comprarli, a non farvi pubblicità, a lasciarli crepare nel dimenticatoio.
Nel mondo occidentale, di cui ci risulta faccia parte anche l’Italia, la democrazia passa dal pluralismo delle idee. Il pluralismo delle idee anche dalla varietà dei giornali.
Cosa provoca in un Paese alla deriva che non trova neanche nelle istituzioni riferimenti di integrità? Provoca lo scompiglio, l’insulto gratuito e una fiumana di parole buttate là senza senso e senza la benché minima conoscenza dei fatti. Perché non ci si interroga. Si preferisce commentare una fake news, facendo figure barbine, piuttosto che spendere due secondi in più per azionare il cervello.