Arriverà il giorno che occorrerà produrre erbicidi ancora più potenti di quelli di oggi, per controllare le piante infestanti resistenti al glifosato. Non è un paradosso, ma lo scenario drammatico descritto in uno studio di alcuni ricercatori dell’Ispra in cui si analizzano gli effetti provocati dall’impiego del temuto diserbante – il cui uso è molto diffuso anche nella Tuscia – su agricoltura, ambiente e uomo.
La ricerca raccoglie i risultati di analisi condotte da laboratori indipendenti che ribattono punto su punto alle dichiarazioni dei produttori della sostanza chimica, che invece ne difendono l’impiego.
“Il glifosato ha un basso potenziale d’irritazione per occhi e pelle e non è un rischio per la salute umana”, dicono i produttori. “Falso – la replica –. Il glifosato è tra i pesticidi più segnalati come causa di avvelenamento accidentale. Provoca una serie di sintomi acuti tra cui eczema ricorrente, problemi respiratori, elevata pressione del sangue e reazioni allergiche”.
Tesi contro antitesi. Botta e risposta.
“Il glifosato non causa problemi al sistema riproduttivo”. “Falso – ribattono ancora i ricercatori indipendenti -. Test cronici su dei conigli hanno dimostrato effetti nocivi sulla qualità dello sperma e il numero di spermatozoi”.
“Il glifosato non è mutogeno dei mammiferi”. “Falso. Danni al Dna sono stati osservati in studi di laboratorio in organi e tessuti di topi, in particolare nelle cellule del fegato e dei reni e causano danni genetici anche nelle ossa delle cellule del midollo”.
Ancora i produttori: “Il glifosato è sicuro per l’ambiente”. Ribattono sempre i ricercatori indipendenti: “Niente affatto. Negli agrosistemi è tossico per gli organismi benefici del suolo e per gli atropodi benefici e predatori. Aumenta la suscettibilità delle colture alle malattie. In silvicoltura e agricoltura ha effetti dannosi indiretti sugli uccelli e piccoli mammiferi, danneggiando le loro scorte di cibo e l’habitat. In Australia, è stato costatato che è letale per i girini di raganelle e altri anfibi. In aree coltivate provoca deperimento delle siepi e delle alberature. La ripartizione del glifosto da parte dei microorganismi acquatici può causare effetti di eutrofizzazione”.
“E’ rapidamente inattivo nel suolo e nelle acque”. “Falso, è molto persistente nel suolo e nei sedimenti. Residui di glifosate sono stati trovati nella lattuga, carote e orzo piantati un anno dopo il trattamento”.
“È immobile e non percola nei suoli”. “Falso anche questo. Può essere ampiamente mobile e percolare negli strati inferiori del terreno. Inoltre, il glifosate può essere trasportato da particelle di suolo sospese nelle acque”.
“Non contamina le acque potabili”. “Falso, nel Regno Unito livelli di glifosate al di sopra del limite UE sono stati individuati dal Welsh Water Company a partire dal 1993”.
“Le colture trattate col glifosate col tempo ridurranno il livello di erbicidi utilizzate”. “Falso. Le colture resistenti agli erbicidi si intensificheranno e aumenterà la dipendenza in agricoltura piuttosto che portare ad eventuali riduzioni significative. Erbicidi dovranno essere reintrodotti per controllare le piante infestanti resistenti al glifosate”.