E adesso tutti costituzionalisti, tutti esperti di urbanistica e di funzionamento di lavori parlamentari. La verità – nascosta, ma neanche tanto, dietro alle polemiche delle forze politiche rilanciate dai “tifosi” sui social – è che i circa 20 milioni di euro stanziati dal governo Gentiloni per Viterbo non ci sono più. Via: sono stati depennati, cancellati, “rubati”, se vogliamo, e saranno utilizzati, insieme a quelli per tutte le altre città, tranne i Comuni d’area metropolitana, per consentire ad alcune amministrazioni (la maggior parte del Nord) di spendere eventuali avanzi di bilancio senza incorrere nei vincoli imposti dal patto di stabilità. Altra verità inconfutabile è che a volere che le cose vadano in questa direzione è il governo Lega e M5S nel momento in cui portano in aula il decreto mille proroghe.
Quanto accaduto corrisponde dunque ad una precisa volontà dell’attuale maggioranza di governo per reperire finanziamenti per politiche di investimento diverse da quelle individuate dal governo precedente. E la dimostrazione di ciò sta nel fatto che, se si volesse, ci sarebbe ancora tempo per tornare indietro, cosa che potrebbe accadere quando il “mille proroghe” a settembre arriverà alla Camera. Il problema è che questa volontà non c’è.
Nella polemica di come si è arrivati all’approvazione dell’emendamento incriminato, M5S e Lega hanno subito fatto presente che è stato votato non solo dalla maggioranza, ma da tutte le forze politiche del Senato, compresi Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia. In effetti è vero, ma andrebbe anche detto che si è trattato di un errore indotto dallo stesso governo.
Infatti, l’emendamento in una parte è giusto e i senatori dovevano approvarlo. E vediamo perché. La Regione Veneto nel 2017, tramite il suo presidente Zaia e l’avvocato Antonini, che venti giorni fa è stato promosso giudice costituzionale, aveva presentato un ricorso di costituzionalità su alcuni aspetti della legge di bilancio approvata nel 2016. Fra i punti anche l’articolo 1, comma 140, dichiarato poi incostituzionale dalla Suprema Corte, perché non prevedeva un’intesa con gli enti territoriali in relazione ai decreti del presidente del Consiglio dei ministri su settori di spesa rientranti in materie di competenza regionale. E questo è appunto il caso della programmazione urbanistica e dunque degli investimenti previsti dal bando delle periferie.
La Corte costituzionale ha ritenuto insomma che il governo non può intervenire su materie che rientrano nelle competenze delle Regioni senza giungere prima ad una intesa con le stesse. La parte giusta dell’emendamento è dunque quella che sana questa bocciatura della Corte costituzionale laddove permette di raggiungere l’intesa che mancava anche dopo l’emanazione dei decreti. Ecco perché i senatori dovevano votare a favore.
Ma purtroppo – e qui sta il punto che ha generato tutti gli equivoci, consentendo a Lega e 5 Stelle di dare anche la colpa agli altri – l’emendamento non si ferma al comma 140 ma interviene anche sul comma 141 che non è stato toccato dalla sentenza della Corte costituzionale: con esso tutti i progetti finanziati dopo i primi 24 approvati vengono congelati sino al 2020. In questo caso si tratta dunque di una scelta politica della maggioranza di governo che ritiene di dover rivedere tutti quei progetti approvati e finanziati. Il voto favorevole di tutta l’aula è quindi avvenuto perché le opposizioni non si sono accorte che l’emendamento andava non solo a sanare i vizi sollevati dalla Corte costituzionale, ma anche ad intervenire sulla sostanza dell’investimento. L’aver messo insieme i due aspetti del problema ha insomma determinato l’andamento della votazione.
Ma tutto ciò, al di là delle polemiche che si stanno facendo in questi giorni, non vuol dire assolutamente nulla, dato che le opposizioni, resesi conto del problema, adesso chiedono che l’emendamento venga modificato alla Camera e ciò – se ci fosse una precisa volontà politica del governo, che invece non c’è – salverebbe gli investimenti per le periferie.
Morale della “favola”: M5S e Lega volevano e vogliono recuperare risorse finanziarie per progetti ed interventi diversi da quelli approvati dal precedente governo ma non lo vogliono dire apertamente. Infatti, sull’investimento in quanto tale deliberato da Gentiloni non vi era e non vi è nessuna sentenza della Corte costituzionale da sanare. E’ solo una questione di volontà politica e basta.