Finché lo spirito originario, quello veltroniano, non si sarà consumato del tutto lui assicura che resterà nel Pd. Poi chissà. Di sicuro è un Alvaro Ricci sempre più lontano dall’ortodossia fioroniana quello che si accinge a tornare sui banchi dell’opposizione dopo i cinque anni da assessore nella giunta Michelini, della quale ha rappresentato, insieme alla vicesindaca Luisa Ciambella, un po’ la spina dorsale. Lo strappo c’è stato alla vigilia del ballottaggio quando Ricci ha compiuto un endorsement abbastanza rumoroso e inaspettato nei confronti della candidata civica Chiara Frontini. Quando invece un paio di giorni prima la Ciambella, pur lasciando libertà di voto e di coscienza ai militanti dem, tra le righe aveva lasciato trasparire una possibile preferenza nei confronti di Giovanni Arena. Se non altro perché con il centrodestra al governo, i consiglieri dem sugli scranni della minoranza saranno tre anziché due.
“Non voglio pensare che scelte che dovrebbero essere di natura schiettamente politica possano essere dettate da ragioni di opportunità o di opportunismo – dichiara Ricci al Viterbese -. La scelta di sostenere la Frontini per me è stata assolutamente ovvia e obbligata, come avrebbe dovuto esserlo per qualsiasi dirigente del partito, e non capisco quindi lo stupore. L’alternativa alla Frontini era votare un centrodestra con dentro un partito populista e xenofobo come la Lega”. In realtà, va detto, anche la Frontini non è che provenga esattamente dalla sinistra terzomondista. Le prese di posizione della pasionaria civica contro gli immigrati e i quartieri ghetto come San Faustino ce le ricordiamo tutti. Così come tutti ci ricordiamo l’ormai “mitico” 6×3 con la scritta: “Viterbo non è un albergo”. Ma tant’è. Ricci ricorda anche le battaglie della Frontini su temi di sinistra come quello del registro delle unioni civili e dell’acqua pubblica, ed è convinto che anche il gruppo dirigente dem avrebbe dovuto fare una “chiara” scelta di campo. “Credo che la mia scelta abbia interpretato molto di più il sentimento dei nostri elettori, perché salire sull’Aventino e restare a guardare non porta a nulla, a livello nazionale come a livello locale. Da dove crediamo che siano arrivati altrimenti i circa settemila voti in più conquistati dalla Frontini al ballottaggio rispetto al primo turno?”.
“Da parte mia – continua l’ex assessore ai lavori pubblici – non c’è stato nessun patto o accordo segreto con la Frontini. Il mio è stato un ragionamento prettamente politico, lo stesso che avrei voluto sentir fare dal gruppo dirigente del mio partito e da chi si è presentato con altre liste (Francesco Serra, ndr)”.
Quanto al suo futuro, per il momento Ricci lo vede ancora nel Pd: “Più che rifondato ritengo che questo partito vada riportato allo spirito delle origini, quello del Lingotto veltroniano. Finché resterà qualche traccia di quello spirito io resto nel Pd e non abbandono certo la nave che affonda”. L’ex assessore non risparmia critiche al gruppo dirigente viterbese: “E quindi anche a me stesso. Dobbiamo smetterla di dire che la colpa è sempre di qualcun altro. Se siamo arrivati a questo punto, le responsabilità sono anche nostre che abbiamo perso il contatto con la gente e non sappiamo interpretarne più il sentimento e il cambiamento, come invece ha saputo fare la Frontini. Non Arena e non il centrodestra, che vincono solo grazie alle frazioni e che dovrebbero erigere un monumento a Elpidio Micci. Altrimenti oggi staremmo a raccontare un’altra storia”.
Ricci dice la sua anche sull’espulsione dal partito dei cosiddetti scissionisti, Serra & co.: “Legittimo che chi ha violato lo statuto candidandosi con delle liste contrapposte al Pd venga messo fuori dal partito, perché le regole vanno rispettate. Ma pensare che tutti i problemi si risolvano così mi pare un atteggiamento a dir poco superficiale”.