Filippo Rossi mette fine alla sua lunghissima e camaleontica vita politica. Abituato a passare da una parte all’altra, da destra a sinistra – stando sempre ben attento a salvaguardare, più che gli ideali, gli interessi del portafoglio – è e resta comunque, nel suo intimo, un uomo di destra.
Ma come è arrivato il colpo di scena? Come è passato – lui che ha un cuore così fascista nonostante gli inciuci coi comunisti – dal “boia a chi molla” al “mollo tutto”?
Semplice: molla tutto perché in 10 anni i viterbesi non l’hanno capito… poveretti… l’hanno visto passare dal centrodestra al centrosinistra… l’hanno visto cacciato dalla destra alla quale voleva ritornare, quindi tornare a sinistra per finire con Riccardo Valentini e Massimiliano Smeriglio, a cui ha venduto successi finiti nel nulla.
Ha litigato pure con Serra, sebbene il loro sogno comune, condiviso con Panunzi e Sposetti, era di arrivare al ballottaggio contro l’odiato Fioroni. Un sogno finito male però, che li ha visti andarsi a schiantare contro il voto dei cittadini. Ora ritorna a fare l’imprenditore… senza calcolo politico… ci mancherebbe. Peccato che giunga a tale scelta dopo essersi domandato chi avrebbe finanziato adesso Caffeina: la Regione o il Comune? Una domande a cui ha dato risposta nel modo più semplice e banale che potesse: meglio mettersi fuori ed offrire, all’occorrenza, un’utile stampella a chi aiuti l’impresa.
Cambiare Viterbo non serve se l’obiettivo è farsi e tutelarsi gli affari propri. Questa è la verità che sta dietro alla sconfitta di Rossi e alla sua rinuncia. La buona amministrazione è altro, il bene comune è altra cosa: non si può dichiarare di voler cambiare la città mentre si lavora, in realtà, per cambiare il proprio portafoglio.
Le alleanze con il diavolo, la condivisione di promesse, il potere da gestire, gli interessi da tutelare e la commistione tra pubblico e privato: è tutto ciò – non la politica, le idee e i valori – il terreno su cui ha giocato per anni Rossi, ricevendo infine la bocciatura degli elettori che l’hanno sgamato. Si è mosso in un grande mercato dove si compra e si vende, come per lo stadio a Roma. Hanno provato a fare anche a Viterbo, Rossi & C., roba di questo tipo, poi hanno litigato, si sono divisi e, senza politica, senza partito, con aspettative deluse ed interessi non più tutelabili, mollano. Rossi è il primo di una serie… c’è più poco da sperare infatti: la Regione trema, il Comune cambia, e allora meglio lasciare. Meglio non mettere a rischio il portafoglio.
Meno male, allora, che gli sfigati viterbesi hanno capito che quando passa Rossi è meglio camminare con il culo radente al muro.