Giovanni Arena e Luisa Ciambella al ballottaggio. E’ questo lo scenario assolutamente più probabile che si prospetta domenica sera. Certo, alla candidata del Pd non giova la guerra sferratale contro da Francesco Serra, ma se si vanno ad incastrare i dati di 5 anni fa con quelli delle politiche del 4 marzo appare molto, molto difficile che al secondo turno possa finirci qualcun altro.
Per farsi un’idea delle reali forze in campo bastano solo due numeri: 35 e 25, ossia le percentuali ottenute nel 2013 rispettivamente da Michelini e Marini. Ebbene, per quanto il quadro politico sia enormemente cambiato, è di tutta evidenza che, per sovvertire la somma di queste due cifre (che insieme fanno 60), dovrebbe verificarsi un vero cataclisma tanto più se si considera che alle comunali giocano un ruolo decisivo i candidati alla carica di consigliere (da considerare oltretutto che Viterbo non è una città particolarmente sensibile ai terremoti).
In questo quadro impazzano i sondaggi fai a te, inventati da ognuno a seconda delle proprie aspirazioni. La Frontini dice che al ballottaggio ci andrà lei, la stessa cosa la fanno i grillini, meno male che stavolta si sente blaterare di meno Filippo Rossi, forse perché sembra aver perso quasi tutto l’appeal di 5 anni fa, come stanno a dimostrare gli spazi quasi sempre vuoti dove si presenta in questi giorni.
In definitiva, meglio non credere ai sondaggi che vengono fatti circolare a uso e consumo dei candidati e che vengono pubblicati dai siti a seconda di chi sborsa di più in pubblicità. Più prudente affidarsi ai dati del 2013 e a quelli del 4 marzo cercando per quanto possibile di analizzarli alla luce di alcuni criteri oggettivi: 1) la presenza di 32 candidati in ogni lista, ognuno con le proprie relazioni e il proprio elettorato; 2) il fatto che Viterbo non è una città tendente alla grandi rivoluzioni; 3) quel 60 per cento ottenuto sommando 35 a 25, che sempre 60 resta se ad esempio il 35 lo si fa diventare 25 e il 25 lo si trasforma in 35; il mutato scenario politico nazionale che dovrebbe portare a polarizzare il voto sui movimenti al governo (Lega e 5 Stelle) e sui partiti tradizionali (Pd e Forza Italia), tagliando di fatto fuori i movimenti localistici come quello della Frontini.