di Cristian Coriolano
Il barometro è tornato a indicare tempo sereno. In effetti, quasi allo scadere del novantesimo giorno dalle elezioni, riprende forma il governo politico di Salvini e Di Maio. La nomina di Savona all’economia, sulla quale il Quirinale aveva fatto cadere il proprio veto, pare accantonata. Sui mercati si annuncia una minore fibrillazione attorno ai titoli del Sistema-Italia.
Adesso viene il bello. Tutti gli italiani pensano di vedere, come Salvini ieri sera al Marassi di Genova, la partita del cuore. Dopo tante promesse, viene il momento di capire cosa intenda fare il nuovo governo giallo-verde. Cresce l’attesa, ma cresce anche il timore di mosse azzardate. Sugli spalti non si odono più i cori dei tifosi: la partita mette in mostra le difficoltà a rendere compatibili i sogni con la realtà.
Nel frattempo i sondaggi mettono le ali al fronte populista, specie per quanto riguarda la Lega. Non a caso, l’unico a volere quanto prima il ritorno alle urne è l’indomito Salvini. Ciò che registrano gli istituti demoscopici non coincide con la percezione di un crescente disagio della pubblica opinione. Si dovrebbe ritenere che la divisione, ancora una volta, passi tra il pensiero delle élite e il sentimento del popolo. Prima o poi questa forbice dovrà chiudersi, perché a dispetto di qualsiasi divagazione della mente e dei sensi resta la potenza della realtà. Con essa bisogna fare i conti.
Del resto, contro i sondaggi che continuano a premiare la componente grillina si staglia la bruta concretezza dei risultati delle ultime regionali (Molise, Friuli Venezia Giulia, Valle D’Aosta), decisamente in controtendenza rispetto al voto del 4 marzo. Ovunque il N5S ha perso voti, e non pochi.Qualcosa, insomma, non funziona: virtuale e reale assumono contorni diversi, sebbene prevalga comunque la tendenza alla radicalizzazione. Di colpo sembra sparita l’Italia di mezzo, quella capace di tenere insieme il cambiamento e il senso della responsabilità. Ora, ritrovare questa Italia finita in minoranza, aiutandola a rialzare la testa dopo la batosta del 4 marzo, è la sfida più impellente che investe i riformisti di varia tradizione e vocazione.
Per questo c’è bisogno di un più nitido apporto dei cattolici democratici.