di Angelo Allegrini
Cinquantacinque giorni. Tanto è durata la prigionia di Aldo Moro nelle mani delle Brigate Rosse e l’angoscia e il timore degli italiani durante il suo sequestro.
Il nove maggio 1978 in realtà fu un giorno iniziato all’insegna della speranza e dell’ottimismo. Se da una parte la risposta ufficiale dello Stato era stata quella del rigore e del rifiuto a qualsiasi tipo di riconoscimento politico dei terroristi, dall’altra v’era stato un impegno nascosto, coperto da ragioni di opportunità, che aveva ricercato con tenacia e ostinazione ogni tipo di azione utile per liberare Moro. Almeno cinque trattative segrete, in Italia e all’estero, erano state condotte da soggetti diversi, il Presidente della Repubblica Leone aveva dichiarato che stava con una mano sul cuore ed una con la penna in mano e il Consiglio Nazionale della D.C. era stato convocato per quel giorno da Amintore Fanfani per dare un sostanziale via libera alla concessione della grazia alla brigatista Besuschio.
Così, mentre il ministro dell’interno Cossiga aspettava al Viminale la notizia della liberazione, Valerio Morucci sotto le mentite spoglie del dottor Nicolai telefonava all’assistente di Moro, Franco Tritto, per portare la tragica comunicazione: adempiamo alle ultime volontà del presidente comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell’onorevole Aldo Moro… Allora, lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani… che è la seconda traversa a destra di via delle Botteghe Oscure. …
Di lì a poco l’immagine dolorosa del corpo di Aldo Moro riverso nel bagagliaio della Renault 4 rossa entrò in tutte le case italiane attraverso quegli stessi telegiornali che avevano seguito con preoccupazione e speranza le fasi del sequestro.
Tutta l’Italia unita nel nome di Moro, titolò il giorno successivo Il Popolo; aggiungendo che la più orribile delle notizie è giunta alla DC proprio mentre era riunita la direzione del partito. Visibilmente sconvolto, Zaccagnini ha dato l’annuncio che tutti noi ascoltavamo in piedi – dichiarò l’ex segretario Gonella – è stato un momento di commozione indicibile. Molti di noi piangevano.
Migliaia di persone si radunarono sotto la sede di Piazza del Gesù per esprimere solidarietà alla DC che sospese in segno di lutto ogni comizio della campagna elettorale in corso ma anche il PCI rimase scosso dalla ferale notizia. Lo stesso Enrico Berlinguer dichiarò la sua grande commozione: un grande dirigente democratico è caduto… La Repubblica perde uno dei suoi maggiori statisti… Il saluto estremo che gli rivolgiamo è diretto alla personalità che per la sua levatura rimarrà nella memoria non solo dei cattolici democratici ma dell’intero popolo italiano, perciò anche in quello di noi comunisti…
Così come riporta la cronaca locale del Tempo del 10 maggio, anche a Viterbo i sentimenti comuni erano quelli di sbigottimento, incredulità, dolore, costernazione mentre i bollettini radio facevano emergere in tutta la sua crudezza la tragica notizia; mentre il Comitato Provinciale ed i consigli di tutte le sezioni della DC venivano riuniti in seduta permanente, un rito funebre venne celebrato, in contemporanea, nel Duomo di Viterbo e nelle principali chiese della città e dei comuni della provincia. Il consiglio comunale di Viterbo venne convocato in seduta straordinaria e, al posto del programmato comizio dell’on. La Malfa, si tenne a Piazza delle Erbe una manifestazione unitaria di sindacati e partiti politici per testimoniare solidarietà alla Democrazia Cristiana.
A nome della confederazione CGIL, CISL e UIL, Primo Marchi chiamò i lavoratori alla mobilitazione, con l’obiettivo di sconfiggere questa teppaglia che non ha diritto di cittadinanza nell’Italia democratica e repubblicana.
Il sindaco del capoluogo, Rosato Rosati, non nascose la sua commozione e ricordò alla stampa le tre occasioni in cui Moro era stato a Viterbo, in occasione di un convegno dei giovani DC al Teatro dell’Unione, per l’inaugurazione della nuova sede dell’Amministrazione Provinciale e, come Ministro degli Esteri, a Villa Lante con il Negus Hailè Selassiè.
Praticamente tutti i rappresentanti dei partiti politici pronunciarono parole di ferma condanna all’assassinio perpetrato dalle Brigate Rosse: il PCI, attraverso un comunicato della direzione, definì l’assassinio come crimine mostruoso commesso da nemici del consorzio civile, del popolo italiano e della democrazia repubblicana. I comunisti – proseguiva il comunicato – inchinano le loro bandiere alla memoria di Aldo Moro ed esprimono la propria commossa solidarietà alla famiglia e al Partito della Democrazia Cristiana.
Il segretario della DC, Renzo Trappolini, dichiarò da parte sua che l’evento assurdo che aveva colpito duramente aveva pure aumentato l’impegno della battaglia per la democrazia: è iniziata la stagione del dovere come ci ha insegnato Aldo Moro ed ognuno di noi sente maggiormente l’obbligo morale della lotta per la difesa dei valori fondamentali della nostra comunità… l’imperativo a cui nessun democristiano viterbese vorrà sottrarsi nella difficile costruzione di una società più giusta e più umana.
[continua]