di Cristian Coriolano
Nella storia d’Italia, anche prima dell’Unità, i cambiamenti più significativi e convincenti si sono realizzati passando per una nuova aggregazione al centro dello schieramento politico. Il connubio di Cavour, il trasformismo di Depretis, il riformismo di Giolitti, il centrismo di De Gasperi hanno rappresentato, nelle varie fasi e in modi diversi, l’allargamento della base democratica del governo e dello Stato. Anche Moro, nella sua costruzione del primo centro-sinistra, si propose di seguire e aggiornare il “canone fondamentale” della vita politica italiana. Solo Mussolini agì sulla base di un altro parametro e giocò la carta dell’associazione al governo di forze radicali (di destra e di sinistra), arrivando in breve tempo alla instaurazione della dittatura.
Oggi, dopo lo strappo antisistema di Berlusconi del 1994, da cui è sorta con tutte le sue ambiguità e contraddizioni la cosiddetta Seconda Repubblica, siamo di fronte a un salto di qualità, pur nella continuazione della logica antisistema, che induce a parlare di Terza Repubblica. Due forze antagoniste, impegnate su fronti opposti in campagna elettorale, si apprestano a sostenere (anche con entusiasmo) l’esecutivo affidato al prof. Conte, autopromosso sul campo “avvocato difensore del popolo italiano” (sic!). In qualche modo, la convergenza degli opposti ricorda – mutatis mutandis – la spregiudicata operazione di Mussolini agli esordi del suo regime ventennale. Fortunatamente le istituzioni e la democrazia sono oggi molto più forti. Come minimo, Mattarella non è Vittorio Emanuele III.
Ora, come non riconoscere che l’intesa grillo-leghista non abbia caratteristiche di strano e contorto equilibrismo, a sfondo eversivo? È un compromesso che si nutre di un linguaggio doppio, a seconda delle convenienze, con finalità poco chiare: il contratto di governo, infatti, si presta per così dire a interpretazioni evolutive. Si coglie più che mai la volontà di rompere gli argini, sui conti pubblici e sugli accordi europei, per dare comunque forma al “governo del cambiamento”. Non a caso, sull’onda della diffidenza suscitata in Europa e nel mondo, il demone della speculazione finanziaria ha rialzato la testa. L’impennata dello spread costituisce un grave indice di allarme: dunque, la retorica dell’anti-austerità può rivelarsi, nel giro di poco tempo, illusoria e pericolosa.
Ciò nondimeno, nel Palazzo e dintorni si respira un’aria di soddisfazione per la fine dell’incertezza politico-istituzionale, con l’incubo di elezioni anticipate. Anche l’opposizione, tra mugugni e smorfie, appare più rilassata. Perché non dare credito a questo esperimento? In molti si dispongono a incrociare il vento della novità. Si sa che buon senso e opportunismo spesso vanno a braccetto. Eppure, all’atto pratico, anche il sentimento di giocosa attesa e considerazione durerà poco. Per questo servirà capire quanto prima come organizzare l’opposizione, attorno a chi e insieme a chi, per andare dove… Non sarà un lavoro semplice, perché la bestia del populismo non si lascia addomesticare facilmente. Al più accetta che un ex ministro montiano, come il mutante Moavero, ignaro di scrupoli di coerenza stenda sulla sua groppa la mantellina filo-europea.
Bisogna fare opposizione, ma non con questa impoverita e disgregata opposizione. En passant, il card. Bassetti ha ricordato che a gennaio prossimo celebreremo i cento anni dell’appello di Sturzo ai “Liberi e forti”. In effetti, anche il Partito popolare nasce da una storia di opposizione e si configura nei termini di una alternativa alle forze tradizionali di potere. È una matrice identitaria che torna utile nel definire una prospettiva di possibile ripresa del cattolicesimo politico. Bisogna avere fiducia, guardando avanti ma non con i paraocchi dei nuovisti e dei rottamatori. Il futuro, immancabilmente, vedrà delinearsi la frontiera dello scontro tra il popolarismo (nella sua rete rete di alleanze) e il populismo.