di Cristian Coriolano
A questo punto non rimangono che due strade per tentare di formare un governo. La prima, irta di ostacoli, porta all’accordo tra M5S e Pd. Tutti dicono che risulta impraticabile per il veto di Renzi; tuttavia l’ex segretario, pronto ad abbandonare il suo esilio volontario, ama il gioco di contropiede e sente di poter spiazzare amici ed avversari sbloccando all’improvviso la partita con i Cinque Stelle. Forse il dilemma verrà sciolto domenica, durante l’annunciata intervista con Fazio, senza attendere la direzione Pd del 3 maggio. Renzi è capace di stupire. D’altronde, chi si affanna a dipingere a tinte fosche lo scenario di un’eventuale intesa tra “vinti e vincitori”, dimentica di aggiungere che un ritorno alle urne, dopo il naufragio della legislatura appena avviata, metterebbe non i partiti e i loro leader, ma gli italiani nel loro complesso dalla parte dei vinti.
Esiste poi la seconda strada. Fallite le trattative tra M5S e Pd, potrebbe ancora esserci uno spiraglio per impedire il trauma di nuove elezioni a poca distanza da quelle celebrate il 4 marzo, in linea con la scadenza naturale dei cinque anni (2013-2018), malgrado un inizio tormentato se non caotico. Verderami, sul Corriere della Sera di oggi, sfoggia la consueta maestria del giornalista ben addentrato nei segreti del Palazzo per mettere al corrente l’opinione pubblica della volontà residua del Quirinale, tesa a salvare il salvabile attraverso la configurazione in extremis di una “maggioranza di responsabilità”. In questo modo, con il concorso di tutti i gruppi parlamentari, potrebbe nascere un governo per il disbrigo delle questioni più urgenti e delicate (legge di bilancio) e il varo di una nuova legge elettorale. L’obiettivo sarebbe circoscritto all’essenziale, ovvero al possibile e auspicabile rinvio delle elezioni all’anno prossimo, in coincidenza con il rinnovo del Parlamento europeo.
In effetti, Mattarella ha messo in guardia dai pericoli di instabilità. Non spetta a lui definire il profilo di un governo: i suoi poteri, meglio ancora le sue responsabilità, consistono nel favorire e registrare – con il 4 marzo, si sa, non è nata una maggioranza politica di governo – l’auspicabile convergenza delle forze politiche. È però intuibile che anche il Capo dello Stato non si nasconda la minaccia di una crisi di sfiducia qualora soluzioni troppo ardite e confuse dessero l’impressione di un vero guazzabuglio istituzionale. Un governo a tutti i costi, con l’unico effetto di innescare la ripresa immediata della campagna elettorale, ammesso che abbia avuto termine dopo il 4 marzo, non avrebbe l’allure di una soluzione all’altezza dei problemi del Paese. La toppa, insomma, sarebbe peggio del buco. E potrebbero i mercati rimanere indifferenti? O non avrebbero motivo, dinanzi alla strutturale incertezza del quadro politico, per levare in alto la paletta rossa?
Gira e rigira il confronto tra M5S e Pd appare necessario. Sì può ipotizzare, all’occorrenza, che non dia luogo a una coalizione di tipo strategico. Va bene dunque un “contratto”, a condizione che anche questo abbia un senso in rapporto alle aspettative dei cittadini. A riguardo la fantasia aiuterebbe, come in altre circostanze della sempre complicata democrazia italiana, a identificare il minimo comune denominatore circa l’impegno sulle cose da fare. Non sarebbe un contratto a lungo termine e pertanto non avrebbe, a intuito, un orizzonte di legislatura. In ogni caso potrebbe fissare una linea di confine sulla destra, lasciando all’opposizione – senza se e senza ma – il lepenista e putiniano Salvini. Non sarebbe pica cosa, sul piano strettamente politico. Ai riformisti, in definitiva, non può non riguardare una soluzione che spezzi il fronte degli opposti e convergenti populismi, provando a condizionare per il tramite di un “contratto per la democrazia” l’evoluzione del grillismo.