di Cristian Coriolano
Si attendeva un segnale dal Molise e questo si traduce nel rilancio del centrodestra in un angolo del nostro Mezzogiorno. Un rilancio netto nelle percentuali e stentato nei voti reali, per effetto di un astensionismo molto alto, considerata anche la più ristretta base elettorale (solo i residenti) rispetto alle politiche del 4 marzo. Nonostante la pressione della pubblica opinione nazionale, con la massiccia copertura di stampa e televisioni, solo il 52 per cento degli aventi diritto ha scelto di recarsi alle urne. Il calo dei votanti rivela ancora una volta la condizione psicologica di larga parte della popolazione meridionale, sfiduciata e rassegnata per quello che viene percepito come il disarmo delle istituzioni di fronte al malessere del Sud.
La vittoria del centrodestra consente a Berlusconi di frenare le smanie di Salvini. Nel confronto tra Forza Italia e Lega colpisce soprattutto il fatto che il primato dei berlusconiani andrebbe letto più correttamente anche alla luce del successo riportato dalle formazioni centriste e moderate; mentre, a rovescio, dopo settimane di eccitazione e clamore attorno al ruolo di nuovo leader della coalizione, Salvini si deve accontentare di un magro risultato, addirittura inferiore a quello delle ultime politiche. Di per sé non vuol dire molto poiché il consolidamento del leghismo, ove mai dovesse manifestarsi, richiederà nel Sud tempi più lunghi. Tuttavia la battuta d’arresto, quando alla vigilia tutto lasciava presagire il contrario, in effetti c’è stata. E in qualche modo avrà ripercussioni sul quadro nazionale (almeno fino alla controprova, domenica 29 aprile, del voto in Friuli Venezia Giulia).
Altro discorso, invece, è quello che interessa i Cinque Stelle. Di Maio esce male dal test molisano. In altre epoche, segnate magari da un’eccessiva cura nell’analisi dei risultati elettorali, la perdita di sette punti percentuali a distanza di poche settimane avrebbe suscitato molte apprensioni. È probabile che il dialogo con la Lega, cemento di tutte le mosse di potere in questo avvio di legislatura, sia stato mal digerito da una parte dell’elettorato. Tenere insieme tutto e tutti, passando da destra a sinistra e da sinistra a destra, per altro con disinvoltura mista a furbizia, mette in mostra il lato oscuro e poco seducente del grillismo. Da qui emerge l’obbligo di considerare con prudenza ciò che rappresenta oggi e potrà rappresentare in futuro, a seconda delle alchimie della Casaleggio & Associati, questo amalgama proteiforme del ribellismo anticasta.
Infine una succinta valutazione della sconfitta del Partito democratico. Veneziale, il candidato presidente, se ne è assunto l’onere con gesto nobile e generoso. Tuttavia non basta questo gesto a coprire la disfatta giacché, dopo il magro risultato delle politiche, questo odierno, essendo magrissimo, risulta davvero mortificante. Non è bastata la ricucitura con gli ex scissionisti (LeU) e la conseguente presentazione di una compagine più coesa. Non c’è più il motore che nell’Ulivo era costituito dal Partito popolare: una sinistra senza il centro diventa altra cosa dal modello di centro-sinistra ipotizzato e realizzato, con molte imperfezioni, sull’onda della dissoluzione della cosiddetta prima Repubblica. Il Partito democratico, come la pecora Dolly, a dispetto delle attese suscitate nel Paese è nato vecchio. Difficile stabilire, in altri termini, che la causa del disastro molisano sia da rintracciare nella scelta aventiniana del dopo 4 marzo. La crisi viene da lontano. Per questo c’è da attendersi che anche in Friuli vada male. Bisogna essere consapevoli della gravità del problema, non si vuole che scompaia persino la domanda sul perché una generosa intuizione politica, tesa a unificare le culture riformiste, sia andata smarrendosi nel giro di pochi anni. Evidentemente la “reductio ad unum” dell’area di centro-sinistra non ha convinto. E di questo occorre prendere atto.