di Cristian Coriolano
Non è vero che il presidente della Repubblica stia perdendo tempo, come dimostrerebbe l’incarico esplorativo affidato alla Casellati e giunto dopo 48 ore al previsto fallimento. In realtà, con questo apparente diversivo lungo il percorso della crisi post-elettorale, sono stati chiariti alcuni punti decisivi. Anzitutto, smentendo le dichiarazioni ufficiali, il centrodestra non si presenta (più) unito a causa principalmente della diversa valutazione del rapporto con i possibili alleati; pertanto, dietro questa divisione si affaccia la conferma di quanto fosse complicato l’accordo con i Cinque Stelle; dunque in conclusione, sulla scia delle ultime verifiche, nella percezione della pubblica opinione la pretesa centralità del blocco a trazione leghista sfuma irrimediabilmente.
Ora, alla luce di quanto concretamente acquisito, Mattarella non ha la minima ragione per considerare ancora valida la carta dell’incarico a Salvini. La crisi si prolunga e richiede ulteriori sforzi di chiarificazione. Tutto lascia supporre che spetti adesso al presidente della Camera l’onere di accertare l’esistenza di una maggioranza di governo. Il nuovo esploratore, però, non dovrebbe sarebbe più vincolato alla formula dell’accordo tra M5S e centrodestra. Non avrebbe senso, infatti, che s’insista sull’ipotesi seguita dalla Casellati sulla base del mandato di Mattarella. Sì deve andare incontro ad altri possibili scenari.
Quali sono? Non più di due, nel caso spetti a Fico riprendere i colloqui: o l’accordo, secco, tra M5S e Lega o l’apertura del confronto tra M5S e Pd. Ambedue le soluzioni implicano un esercizio di alta acrobazia politica. I grillini vanno oramai per le spicce, dando prevalenza alla possibile saldatura con il partito di Martina. Il problema è che, vista la contrarietà di Renzi, difficilmente il Pd potrebbe dare il via libera a un governo “grillo-riformista”. Troppi equivoci e troppi rischi, anche per una sinistra desiderosa di uscire dall’angolo. Vuoi o non vuoi, la fermezza di Renzi costituisce per il Pd l’unica opportunità di tenuta a fronte del dissesto conseguente alla sconfitta elettorale.
Il Paese ha bisogno di un governo. Urge fare presto, ma intanto si avanza a piccoli passi, anche immaginando di arrivare alla meta della formazione di un governo passando appunto per sentieri inesplorati. Al Quirinale non sfugge la natura eccezionale di questa lunga contrattazione post-elettorale, con la necessità di fare alleanze proprio quando, in precedenza, tutti i contendenti hanno chiesto voti in nome della magica formula del riformismo tardo ulivista: quella, cioè, della vocazione maggioritaria come anima della democrazia maggioritaria. Il Paese invece ha rotto l’incantesimo del felice bipolarismo – in realtà più forzoso che felice – portando allo scoperto la complessità di un quadro politico segnato da profonde fratture sociali e territoriali. Per questo torna di moda parlare del centro, ovvero di una forza politica di equilibrio e di sintesi, capace di esercitare perlomeno una importante funzione di orientamento, se non di guida. In effetti, come si vede, il tema è all’ordine del giorno.