di Cristian Coriolano
Bettini, parlamentare Pd a Bruxelles, torna far sentire la sua voce. Non usa mezzi termini per sancire la fine di un modello di partito e indicare le condizioni per il rilancio della sinistra. “Siamo un partito condizionato dalla lotta tra correnti -ha dichiarato nell’intervista al Fatto Quotidiano di ieri – che ha completamente perso l’empatia verso chi soffre”.
La critica al gruppo dirigente del Nazareno è molto aspra. A Renzi riconosce di aver “levato una certa patina grigia che il Pd aveva accumulato” ma poi l’ex segretario ha occupato “tutte le posizioni strategiche nel partito e nelle istituzioni”. La sconfitta del 4 marzo è fatta dunque risalire alla progressiva perdita di autenticità culturale e politica, da un lato, insieme al lento ma inesorabile asservimento a logiche deteriori di potere, dentro e fuori il partito.
Anche il rinvio dell’Assemblea nazionale, a parere di Bettini, rappresenta “un errore grave, che dà un ulteriore segno del nostro immobilismo politico”. Se Renzi “vuole fare Macron, non ne farei un dramma. Ognuno per la sua strada. Poi al governo ci si potrebbero pure alleare, sempre meglio che con Forza Italia!”. In sostanza, questo il messaggio più esplicito dell’europarlamentare, “il partito nella forma attuale va azzerato”.
Sulla questione del governo, infine, espone una linea molto chiara. I Cinque Stelle? “Siamo di fronte al massimo della concentrazione della volontà politica in pochissime mani e a una sorta di sondaggio in Rete, tra l’altro di dimensioni abbastanza modeste, che produce una democrazia della solitudine”. Tuttavia “se il presidente della Repubblica ce lo chiedesse, dovremmo dire che siamo disposti a far partire un loro governo”. La formula magica, cui conformare la condotta del partito, dovrebbe mirare al massimo di flessibilità e rigore: “Metterli sulla graticola, questo dovremmo fare, lasciandoci liberi in Parlamento di giudicare provvedimento per provvedimento”.
Sono state diverse le reazioni a questo intervento. Faraone, proconsole renziano in Sicilia e sottosegretario al Ministero della Salute, ha ribaltato il concetto: se qualcuno deve andarsene dal Pd, questi non è certamente Renzi. Semmai dovrebbe essere Bertini ad andarsene, vista la sua idiosincrasia con il lavoro svolto in questi anni per svecchiare la forma e il contenuto del Pd a trazione diessina. L’insuccesso elettorale, in questa chiave di lettura, dipenderebbe dalla incompleta e poco conseguente trasformazione del Pd, spesso frenata dalle resistenze di un ceto politico abbarbicato alle sue certezze nei sistemi di potere locale.
Ora, quale che sia l’interpretazione da dare all’intervista, bisogna riconoscere la chiarezza di linguaggio e la nettezza di giudizio proposte da Bettini. In effetti, pochi dubbi sussistono a riguardo della difficoltà che gravano sulla prosecuzione di “questo” Pd. È brutto invocare o sobillare scissioni, ma restare immobili equivale ad approfondire la scissione più grave e temibile, quella da un Paese interessato a capire se e come lo schieramento riformista possa organizzarsi, su basi nuove e con nuovi programmi.
Esiste un’area politica e sociale che non trova rappresentanza, tanto da rifugiarsi nell’astensionismo o nel voto di protesta, alla quale ieri come oggi va stretto il vestito della sinistra, per non parlare di quello della destra. Non si autodefinisce, perché tutte le categorie tradizionali hanno perso di valore e fascino: dunque, anche la categoria del “centro”. Ma se può dissolversi un nome, divenuto all’improvviso incongruo e inefficace, non può venire meno la sostanza politica che quel determinato nome racchiude.
Il futuro del Pd deve rispondere agli interrogativi di Bettini, magari per trarne le conseguenze inverse, ovvero spingendo la sinistra a fare la sinistra così da lasciare campo libero alla riorganizzazione del centro riformatore.