Se qualcuno volesse trovare una spiegazione a quel 24% di migranti sanitari in provincia di Viterbo attestati dalle ultime classifiche del Sole 24 Ore, provi in questi giorni a prenotare una gastroscopia in una qualsiasi struttura viterbese. Il primo appuntamento utile sarà per aprile 2019. Fra un anno esatto. Si tratta solo di uno dei tanti esempi di tempi biblici per esami di routine con cui i cittadini di Viterbo e provincia devono quotidianamente confrontarsi, con buona pace dei progetti della Asl per abbattere le liste d’attesa. L’unica cosa che si sta abbattendo, anno dopo anno, è la capacità dei cittadini di reagire e anche di indignarsi.
Il principio è ormai quella della rana bollita del linguista americano Noam Chomsky: gettate una rana in una pentola d’acqua fredda e iniziate a riscaldarla: quando l’acqua inizierà a bollire la rana non avrà più sufficienti energie per saltare fuori dalla pentola. Per dire che alla fine ci si abitua a tutto, anche a tempi di attesa indegni per un paese civile e per un servizio sanitario pubblico. I pazienti viterbesi che non vogliano bollire hanno davanti a sè due sole alternative: mettere mano al portafoglio o emigrare. L’esempio della gastroscopia calza sempre a pennello: se si opta per la vicina provincia di Terni l’attesa si riduce sensibilmente. Se si sceglie l’intramoenia emigrare non serve: l’esame te lo prenotano nel giro di una settimana, 210 euro e passa la paura (si fa per dire: per farla passare ci vuole anche un po’ di diazepam). Se poi si sceglie di andare privatamente, i tempi sono ancora più stretti.
La domanda cui prodest, a chi giova tutto questo, è ovviamente retorica.