A quasi 500 anni dalla sua morte, sono ancora molti i misteri che avvolgono la figura di Giulia Farnese, una delle donne viterbesi più potenti di tutti i tempi, amante di papa Alessandro VI Borgia e sorella di papa Paolo III. Il primo e il più importante enigma riguarda il suo vero volto: non esiste infatti alcun ritratto in cui possa essere riconosciuta con sicurezza documentata. Gli storici dell’arte si devono così accontentare di alcune possibili attribuzioni su dipinti giunti fino ai giorni nostri e su un bassorilievo, peraltro molto rovinato e in quanto tale assolutamente illeggibile, conservato nel cortile del castello di Carbognano, dove trascorse gli ultimi 20 anni della sua vita.
Lo scorso anno il mistero sul vero volto di Giulia è stato al centro di una mostra ai Musei capitolini, di cui parleremo in un successivo articolo, ma va detto sin da subito che pure in questo caso, nonostante l’importanza degli studiosi scesi in campo, le conclusione a cui si è arrivati non sono univoche. Prestano anzi il fianco a controdeduzioni che fino a prova contraria sono legittime tanto quanto le tesi sostenute dai curatori dell’esposizione.
I misteri che circondano la Bella (questo il suo soprannome) aumentano proprio quando si entra nelle stanze di Palazzo Farnese a Carbognano. La dimora, a tutti gli effetti un castello, fu fatta infatti riccamente restaurare, decorare ed affrescare da Giulia con immagini che ancora oggi fanno nascere non pochi dubbi. I cicli pittorici dei soffitti e delle pareti sono pieni in particolare di figure allegoriche di difficile interpretazione. E’ il caso dell’unicorno, o liocorno, animale mitologico, il cui significato allegorico in epoca rinascimentale si riferiva da un lato alla purezza e alla verginità, dall’altro all’intemperanza e al carattere indomito. Ma l’esatta motivazione per cui Giulia Farnese lo abbia scelto come figura ricorrente è tutt’oggi oggetto di dibattito. Altra immagine che fa parte del racconto delle stanze di Giulia è la fenice: un animale pure questo fantastico, dal simbolismo universalmente noto di capacità di rinascere dalle proprie ceneri. C’è poi una figura femminile (presumibilmente Giulia stessa) che calpesta una tartaruga. Due mascheroni che si tramutano in elementi vegetali a loro volta collegati con dei liocorni.
Insomma un intreccio di immagini che appartengono ad un mondo fantastico, che sembrano suggerire una visione del mondo di Giulia lontana da quella classica dell’epoca. Eppure mai del tutto svelata.